Persone inattive e assistenzialismo a carico degli occupati. L’allarme dei numeri e dei conti non più sostenibili. Unica svolta creare lavoro stabile, ben remunerato e togliere gli incentivi a chi ha deciso di non fare nulla. L’impegno di Draghi e la via del Piano nazionale di Ripresa per segnare una svolta.
Il presidente dell’Istituto nazionale di previdenza, Pasquale Tridico oltre ad essere una persona seria e competente, interviene in modo puntuale nei dibattiti istituzionali sul sistema pensionistico italiano, ovvero i suoi mali e potenzialità. Prendiamo alcuni numeri citati da Tridico. “Un sistema pensionistico di una popolazione di circa 59 milioni di abitanti non si può reggere nel lungo periodo con 23 milioni di persone che lavorano. Nel nostro Paese mancano circa 10 milioni di lavoratori tra scoraggiati, inattivi, donne e giovani che non lavorano”. Una osservazione chiara che dovrebbe – almeno stando alla forza dei numeri – far riflettere seriamente la politica e il Parlamento.
Lavoro, pensioni e disequilibri
Il tema pensioni-lavoro si pone in modo trasparente che c’è da chiedersi fino a quando il Paese reggerà uno squilibrio così evidente. E fino a quando possiamo non prendere atto della parole del presidente Inps? Il problema è che questi appelli non sono compresi nella loro vera natura di allarme, ossia un contesto così disfunzionale mette in crisi l’intero sistema sociale, generando pericoli e drammatiche rotture. La politica come purtroppo constatiamo invece di creare e incentivare il lavoro preme sempre di più per sostenere una impalcatura di assistenzialismi che non potrà reggere. Dal Reddito di cittadinanza per accontentare una parte politica, ai bonus “mancetta” per arginare il caro vita si sta perdendo di vista il problema vero, quello del lavoro, quello della tenuta previdenziale e delle ripercussioni sociali.
I numeri in gioco
Fare una fotografia che mostra lo stato delle difficoltà in cui ci troviamo è utile. Sono numeri che danno la misura delle difficoltà che non riusciamo a risolvere. I residenti in Italia sono 58 milioni e 983 mila, mentre i lavoratori – tra Contratti indeterminati e determinati – sono 23 milioni. Sono loro che alimentano un sistema pensionistico di 17 milioni e 749 mila, persone ossia il 30 per cento dei cittadini. Oltre ai pensionati dobbiamo aggiungere i 9,8 milioni di bambini e adolescenti (16.61%) esclusi dal mondo del lavoro.
Tra pensionati e popolazione al di sotto dei 18 anni di arriva a oltre 27 milioni 500 mila. Inoltre in Italia abbiamo raggiunto il triste primato di giovani “Neet” che non lavorano, non cercano un impiego e ne credono di qualificarsi con corsi professionali, in tutto hanno superato i 3 milioni. Parliamo del 25,1% dei giovani italiani. Infine i disoccupati a gennaio erano 2 milioni 192 mila. In altri versi oltre 5 milioni di persone o che riunificano al lavoro, oppure che lo chiedono ma non c’è perché le loro attività sono entrate in crisi. A questi dati vanno aggiunte le difficoltà dei settori del commercio, partite Iva e lavoratori autonomi, sono oltre 315 mila, che in questi due anni travolti dalle restrizioni del Covid e dai rincari di bollette e materie prime, hanno chiuso le saracinesche e gettato la spugna.
Troppi inattivi
Una ulteriore luce sinistra su questo spaccato sociale così complesso arriva dal recente rapporto: “Le isole degli uomini inattivi”, di Randstad Research, il centro di ricerca sul futuro del lavoro promosso da Randstad, multinazionale olandese leader nel campo delle risorse umane – lo studio prende in esame tutti i Paesi dell’Unione – che ha tracciato un profilo degli uomini inattivi in Italia, analizzandone le cause e immaginando un futuro possibile.
Sono 3,6 milioni gli uomini inattivi in Italia, il 23% della popolazione maschile nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 69 anni, più di uno su cinque.
Un dato più alto di cinque punti rispetto alla media europea, che dimostra come l’alto tasso di inattività non riguardi solo la popolazione femminile, socialmente più svantaggiata.
Possiamo cosi fare una prima sintesi. Abbiamo un Paese dove ci sono difficoltà di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, un alto numero di pensionati già a partire dai 50 anni, un elevato ricorso alla Cig e alla disoccupazione di lungo termine, un ritardo nella formazione continua e al precariato, che rendono i lavoratori difficilmente occupabili in un contesto di ristagno dell’economia. I numeri che abbiamo scritto possono apparire un affastellarsi di cifre e problemi irrisolvibili. Noi tuttavia crediamo che ci sono vie di uscita, perché siamo certi che l’Italia ha potenzialità per una svolta positiva.
Draghi e il gioco dei partiti
Comprendiamo gli sforzi del premier Mario Draghi di voler tenere una coalizione di Governo unità in un momento internazionale così difficile e imprevedibile, siamo con il premier quando sottolinea le tante storture e gravità socio-economiche richiamando i partiti all’azione mentre questi giocano a nascondino, di fronte alla crisi di un sistema Italia dove c’è troppa inattività e troppa bassa produttività. Come sottolineato siamo convinti che l’Italia può farcela perché senza essere inutilmente polemici – già bastano i talk show a fare di ogni problema uno spettacolo – perché sosteniamo che per ridare forza all’occupazione e quindi anche al sistema previdenziale, sia necessaria una ragionevole continuità e stabilità del lavoro. Che sostenere incentivi per il lavoro, dare buste paghe più pesanti, alleggerire il fisco per le piccole imprese e lavoratori autonomi, sia necessario per poter metter su famiglia, tenere una attività aperta, comprarsi una casa di proprietà, potersi costruire un futuro di vita.
Lavoro non assistenza
La priorità è puntare sulle politiche del lavoro e non sull’assistenza. Quest’ultima va data ma per periodi brevi, solo per superare reali momenti di difficoltà, non come il Reddito di cittadinanza che ormai viene percepito – e la politica ha incentivato questo sentimento – come un anticipo di pensione a vita. Come dicono gli analisti e politici attenti (sono presenti in tutti gli schieramenti) ci vuole equilibrio fra strumenti passivi di sostegno e politiche attive del lavoro. Il Piano nazionale di Ripresa offre molte opportunità che potrebbero essere sfruttate. Consente investimenti importanti che potrebbero migliorare le competenze di base dei lavoratori, favorire l’accesso qualificato al lavoro con politiche attive e formazione professionale, sviluppare e sostenere attività innovative, e imprese con giovani. Insomma creare lavoro e futuro, contro le disuguaglianze, gli assistenzialismi inutili, la precarietà e le emarginazioni.