L’Italia, insieme alla Spagna, è stata tra i Paesi Ue maggiormente colpiti dalla pandemia, con 16 milioni di contagi e oltre 160 mila decessi tra marzo 2020 e aprile 2022. A salvarci è stato l’avvio nel 2021 della campagna vaccinale che ha portato l’80,1% della popolazione a vaccinarsi con ciclo primario, conquistando il terzo posto nella graduatoria Ue, dopo Portogallo e Malta e fregiandoci della qualifica di Paese con la maggiore adesione alle politiche sanitarie adottate a livello governativo.
Luci e ombre post pandemia
Anche dal punto di vista economico, stavamo superando una caduta del Pil senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale a causa dello shock sanitario, con una ripresa rapida e robusta e una crescita record nel 2021 del +6,6%. Dalla seconda metà dello scorso anno, però, lo scenario internazionale ha cominciato a deteriorarsi per effetto di strozzature dal lato dell’offerta e di consistenti spinte inflazionistiche, peggiorate dall’invasione russa dell’Ucraina, alle quali si è aggiunto il cambio di intonazione della politica monetaria. Guardando al futuro, le prospettive di crescita mondiali per il 2022 e il 2023 sono peggiorate e anche quelle per l’Italia, pur restando positive, sono in decelerazione.
L’inflazione a giugno ha raggiunto l’8,0% per l’indice NIC (indice Nazionale dei prezzi al consumo per l’Intera Collettività), ai massimi da gennaio 1986, sostenuta dai rincari delle materie prime, in particolare del gas naturale, il cui prezzo è aumentato di circa sei volte. Una delle conseguenze è che dal 2005 ad oggi sono raddoppiate le famiglie in povertà assoluta, passate da 800mila a 1,9 mln.
Il Reddito di cittadinanza ha salvato un milione di italiani
Non è un quadro incoraggiante quello restituito dal Rapporto annuale sullo stato del Paese dell’Istat, anche se l’Italia ha saputo dimostrare di essere in grado di affrontare emergenze straordinarie. Anche le misure adottate dal Governo sono state, secondo l’istituto statistico, durante e dopo la pandemia, puntuali e mirate, ma il sovrapporsi di diversi fattori avversi mettono a repentaglio la ripresa. L’occupazione ha recuperato (21,8 milioni), tornando molto vicina alle quote del febbraio 2020, ma le disuguaglianze si sono accentuate, colpendo ancora di più le fragilità esistenti: donne, giovani, immigrati e Mezzogiorno.
La ripresa del lavoro osservata nel 2021 rientra nella media Ue27 (+1,5%), ma il nostro Paese risulta relativamente più penalizzato rispetto alle altre grandi economie dell’area. Nel tempo è progressivamente diminuita l’occupazione standard, a tempo pieno e a durata indeterminata, mentre sono sempre più diffuse modalità ibride di lavoro e un lavoratore su tre vive con meno di mille euro lordi al mese. Secondo Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, “le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare il reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno permesso a 1 milione di individui di non trovarsi in condizione di povertà assoluta”.
Meno matrimoni e nascite. Più divorzi e madri in età avanzata
È plausibile collegare a una tale situazione di incertezza post-pandemica dal punto di vista economico e occupazionale il fenomeno inarrestabile della denatalità e il calo del numero dei matrimoni(-3,4% rispetto al 2019 e quasi il 20% in meno del 2011), unioni civili tra lo stesso sesso comprese (nel 2020 -33,0% sull’anno precedente). La diminuzione di nuovi coniugi, ha ristretto il numero di potenziali genitori, il che, in un Paese dove la natalità deriva ancora prevalentemente da coppie coniugate, lascia intendere possibili ripercussioni negative sulle nascite anche nei prossimi anni. Secondo i dati provvisori per il primo trimestre 2022, a marzo il calo ha raggiunto il suo massimo (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021).
Cresce anche l’instabilità coniugale: secondo i dati provvisori 2021 le separazioni sono cresciute in un anno del 22,4%, i divorzi del 24,5%. Rispetto al 2011 le variazioni sono rispettivamente pari a +10,1% e +54,3%. Infine, le donne diventano madri sempre più tardi. Rispetto al 1995 l’età media al parto aumenta di oltre due anni, arrivando a 32,2 nel 2020.
Cambia anche la tipologia della famiglia
Il numero delle famiglie cresce ma sono sempre più piccole, aumentano cioè quelle costituite da una sola persona, passate dal 24,0% del totale di inizio millennio al 33,2%. In aumento anche le famiglie composte da un solo genitore che vive con i figli senza altri membri aggiunti: quasi una su dieci, e diminuiscono, invece, le coppie con figli e senza altre persone (quasi 8 milioni, 31,2% del totale nel 2020-2021, -11,1 punti percentuali in vent’anni). Dunque, coppie non coniugate, famiglie ricostituite, single non vedovi e monogenitori non vedovi sono le tipologie familiari in crescita: nel 2020-2021 ammontano in totale a 9,4 milioni, ossia il 36,7% delle famiglie. Erano il 20% all’inizio del millennio.
Il 67,6% dei giovani costretti a restare a casa. Sognano l’estero
Nel 2021 sono poco più di 7 milioni i giovani di 18-34 anni che vivono in casa con i genitori (67,6%), in aumento di 9 punti dal 2010, cioè prima che gli effetti della Grande recessione tornassero a far crescere la permanenza in famiglia. Rispetto al 2019, ossia prima della pandemia, la permanenza è cresciuta di 3,3 punti. Forse per questo immaginano futuro lavorativo in un altro Paese. “Si tratta – si legge nel Rapporto – di un aspetto da non sottovalutare perché rischia di far disperdere un capitale umano prezioso, soprattutto per un Paese che invecchia sempre più e sempre più velocemente“.