Le Associazioni di categoria hanno presentato le loro richieste al ministro del lavoro Marina Calderone. Dalla Cna alla Confesercenti, dalla Confartigianato alla Confcommercio l’elenco delle priorità sono le politiche attive del lavoro, perché come ha sottolineato il presidente della Confederazione nazionale degli artigiani, Dario Costantini c’è il “gravissimo problema della carenza di manodopera specializzata”, e specularmente c’è il problema di contributi e salari. Da qui la richiesta unanime e “indispensabile” di “riduzione del costo del lavoro”. Due temi che da tempo noi sottoponiamo ai nostri lettori, rilevando che le buste paga devono essere più pesanti, nel contempo, i troppi inutili sussidi devono essere dirottati in favore delle politiche attive del lavoro. Sia per adeguare la formazione alle necessità produttive del Paese e sia per ridurre la parte previdenziale che incide in modo notevole sui costi delle imprese. Senza che gli stessi dipendenti ne traggano un concreto beneficio.
Previdenza e lavoro, la svolta
C’è infatti un nesso tra il crollo del lavoro specializzato – ossia tecnici e manodopera di qualità – che in Italia ha assunto proporzioni ingestibili. Basta pensare alla crisi del personale sanitario, medici in fuga dagli ospedali e infermieri sottoposti a turni pesanti e mal pagati. Così come la babele burocratica, che assedia le imprese in particolare quelle che assumono. Si ampliano gli organici ma senza ottenere gli sgravi promessi che non sono affatto garantiti.
Sgravi, nessuna garanzia
C’è in Italia un sistema disfunzionale che grava sul lavoro, sulle imprese e sulla manodopera, fino a trascinare nel gorgo delle inefficienze anche professionisti e lavoratori autonomi. Più del fisco sulle buste paga pesano gli oneri previdenziali. Non è azzardato dire che le imprese temono più i versamenti previdenziali che le tasse. Come ben sanno gli imprenditori le lacune normative e i tempi burocratici vanno ad incidere pesantemente sulla immediatezza degli sgravi richiesti. Ci sono passaggi tra norme nazionali e quelle europee che si rincorrono fino a rallentare spesso di anni, l’ottenimento dello sgravio. In altri versi il cerino rimane tra le dita dell’imprenditore che deve assicurare al dipendente tutte le garanzie contrattuali ma nessuno poi garantisce l’impresa.
Riforme con norme chiare
In questo autunno difficile c’è una forte e concreta volontà che sul lavoro e sulla previdenza il
Governo, come ha indicato il premier Giorgia Meloni e il neo ministro Marina Calderone, si proceda con una riforma che dia una svolta a due sistemi che sono intimamente connessi. Far lavorare persone è un bene inestimabile non solo per la dignità personale, per le famiglie, per il Paese, ma lo è per un sistema previdenziale che ha necessità di nuove entrate. Le riforme come già scritto nel programma del Centrodestra devono essere chiare, semplici e prevedere per le imprese sostegni in tempi di attuazione rapidi.
Il 50% dei pensionati sotto 15/17 anni di contributi
Altrimenti saremo condannati ad una situazione che dire grave e inefficiente, appare un eufemismo. Basta leggere le osservazioni di un esperto di grande prestigio e serietà come Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. “È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia quasi il 50% di pensionati non sia stata in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato”, evidenzia Brambilla, “ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri”. Lo diciamo anche noi. Il Governo porti avanti le riforme non solo per il ruolo e i consensi avuti, ma soprattutto per il bene del Paese delle sue imprese e dei lavoratori.