I siti web delle principali associazioni ambientali e dei più importanti consorzi del settore del riciclaggio dei rifiuti hanno dato notizia di due decisioni giurisprudenziali destinate ad incidere in maniera rilevante su una delle questioni più dibattute e più foriere di liti giudiziali: la distinzione tra bene ed imballaggio, dalla cui soluzione deriva l’applicazione del relativo contributo ambientale.
Una questione non da poco certamente può incidere sui bilanci dei Consorzi ambientali del settore, ma che potrebbe avere anche effetti positivi per il mercato, considerato che il contributo ambientale (che incide sul prezzo di vendita del prodotto) in moltissimi casi potrebbe risultare minore di quello attuale.
La portata della sentenza, nei vari commenti postati su siti e social è ovviamente differente, storica per alcuni di essi, importante, ma non sconvolgente per altri.
È certo, però, che la decisione della Corte di Cassazione del 9 maggio 2023, n. 12458, ha tracciato un confine preciso, dettando in maniera esplicita un principio di diritto, che non potrà essere ignorato nel futuro: “costituisce imballaggio ai fini dell’art. 218 del d. lgs. n. 152 del 2006, in attuazione della direttiva 94/62/CEE, il prodotto adibito a contenere e proteggere beni destinati alla circolazione di mercato”.
In parole più semplici: un bene non diventa imballaggio se non è materialmente e concretamente adibito a tale funzione, unendolo materialmente alla merce.
Principio, si nota nella motivazione della sentenza, che deriva direttamente dalle Direttive UE: un bene è imballaggio soltanto nel momento in cui contiene e avvolge la merce. Per farla breve, come si legge nel comunicato pubblicato sul sito del Consorzio PolieCo (la parte che è uscita vittoriosa nel giudizio in questione) “non è imballaggio, insomma, un sacchetto di plastica, fino al momento in cui non venga riempito del prodotto e messo in commercio con esso”.
Non si dovrebbe dare, quindi, una definizione a priori di un bene come imballaggio, ma solo una qualificazione a posteriori in relazione alla funzione cui il prodotto è adibito.
Al riguardo nella motivazione della sentenza si legge: “Non rileva dunque la funzione di contenente e protezione in sé, ma la destinazione di ciò che è contenuto e protetto alla circolazione e dunque al mercato, sia questo quello delle materie prime o quello dei prodotti finiti, ovvero quello degli stadi intermedi fra queste due condizioni. Il riferimento agli imballaggi «utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici e a qualsiasi altro livello» nell’art. 2 della direttiva è tale da comprendere la generalità degli imballaggi, i quali siano tuttavia «immessi sul mercato nella Comunità», come recita la medesima disposizione, e dunque che si tratti di beni destinati alla circolazione di mercato”
Una sentenza, insomma, che non rivoluziona il settore, ma che è destinata a mettere ordine in una materia troppo spesso controversa ed interpretata in maniera altalenante nelle aule dei Tribunali.
Ma soprattutto una decisione che pone una regola ferma, conferendo tranquillità alle imprese, messe così al riparo da pretese di doppio pagamento, nel contrasto tra due Consorzi circa il titolare del contributo ambientale.