Luglio si annuncia il mese cruciale per definire la riforma previdenziale. Il primo obiettivo è ridare forza ad un sistema pensionistico che ha il suo principale punto debole nella riduzione delle entrate. Dei versamenti della base occupazionale che si assottiglia mentre quella dei pensionati si amplia. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo sottolinea ricordando che nel Paese ci sono: “Sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano”. Il dossier previdenza prevede che martedì prossimo 11 luglio, Governo, sindacati e parti sociali si confronteranno su pensione di garanzia per i giovani e subito dopo il 18 luglio si affronterà il nodo della flessibilità in uscita e degli esodi. Questo itinerario continuerà il 18 settembre, per poi avere il vero e risolutivo confronto sui costi e l’impatto sulla prossima legge di Bilancio.
Uscite ed entrate, rischio Inps
Un dato comunque è già oggi certo: il costo delle pensioni aumenterà e l’interrogativo è se le risorse basteranno a stare dietro questa crescita. Le previsioni e le stime di “Itinerari previdenziali”, spiegano come si sia ampliata la forbice dal 2000 in avanti, come è peggiorato il saldo tra il valore delle prestazioni pensionistiche erogate e il valore dei contributi previdenziali incassati. Il divario tra uscite ed entrate: nel 2000 era di circa 7 miliardi di euro, nel 2021 si è saliti a 31 miliardi. Il futuro è quindi appeso alle prossime decisioni. Il sistema si salva solo se ci saranno più assunzioni e versamenti contributivi.
Piccole imprese grandi sforzi
Questa premessa serve per comprendere l’altra faccia della previdenza, ossia il lavoro. In particolare l’impegno che su questo fronte dedicano le piccole imprese che come ricordato due importanti associazioni di Categoria, la Confesercenti e la Confederazione nazionale degli artigiani, sono la spina dorsale delle attività produttive e della occupazione. Il leader della Cna lamenta un fatto: “Non si riesce davvero a capire perché nessuno, i politici prima di tutto, si interessi alle piccole imprese, che rappresentano il 98% dell’economia italiana”. Nel contempo la Confesercenti ricorda con dati spaventosi il ritmo del crollo delle piccole attività. In Italia chiudono, lasciando a casa titolari e lavoratori “oltre due negozi ogni ora”. Ad inizio 2023 la Confederazione annota che oltre 43mila imprese hanno abbassato per sempre la saracinesca. Parliamo di due settori strategici, come commercio e artigianato a cui bisogna unire le difficoltà dell’agricoltura, della piccola industria, della pesca, del grande bacino in affanno delle attività autonome.
Sgravi e aiuti, regole certe
Come rilanciare il mondo del lavoro? Ricette facili non ci sono, però possiamo cercare di evitare le inefficienze vecchie e nuove. La prima è dare certezze con norme semplici, chiare e rapide, – decontribuzioni, sgravi e incentivi – alle imprese che assumono. Non basta dire che ci sono aiuti se questi poi vanno a rilento, se si disperdono in rivoli fino a sconfinare nell’incertezza e suscitare sfiducia, dubbi e rinunce.
Dare una mano alle piccole attività significa centrare le necessità dell’impresa così da favorire l’occupazione, creare posti di lavoro e ampliare la base contributiva dell’Inps.
Politicamente corretto e storture
C’è infine un problema culturale che frena molte iniziative. C’è un dibattito anche sul fronte del lavoro che per rispetto del cosiddetto “politicamente corretto”, crea a sua volta delle storture se non delle ingiustizie. Ad esempio, sono sacrosante e utili quelle conquiste al femminile per l’accesso al lavoro, e tra questi ricordiamo Il bonus assunzioni donne 2023. Si tratta di un esonero del 100% sui contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro, fino ad un importo massimo di 8 mila euro all’anno, nel caso di assunzioni di donne svantaggiate e disoccupate in possesso di specifici requisiti. Ma ci sono anche molti uomini “svantaggiati”, che hanno perso il lavoro a 40-50 anni e che potrebbero avere una nuova occasione di impiego. Così come prevedere di superare quella barriera degli “under 35”, e spesso sotto i 30 anni, che di fatto discrimina gli uomini chi si trovano sopra queste asticelle che non possono contare su sostegni e percorsi di inclusione nel mercato del lavoro. In altri versi bisogna uniformare le possibilità che poi sono a garanzia sia delle lavoratrici (ad iniziare dalla parità di stipendio e carriera) che per i lavoratori (esclusi oggi da alcune utili possibilità). Infine un interrogativo, ci sarà questa svolta nell’interesse di chi vuole lavorare, delle piccole imprese e dei conti previdenziali? Non ci auguriamo di sì. Che una volta tanto prevalgano le buone ragioni e il buon senso.