L’enciclopedia Treccani elegge a parola dell’anno 2023 il termine “femmincidio” come contributo a quel cambiamento culturale che è alla base della soluzione di una piaga sociale costantemente presente nelle cronache quotidiane. Il neologismo incomincia a essere introdotto nella nostra lingua nel 2001 per poi essere ufficialmente registrato nell’elenco delle parole nuove nel 2008. E da allora a oggi è purtroppo entrato a pieno titolo nel nostro lessico. La definizione che l’illustre enciclopedia ne dà è: “Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all’uomo”. Il riferimento al “patriarcato” suscita qualche polemica soprattutto in chi non vuole ridurre la questione a una guerra tra sessi e a una serie di stereotipi di genere. Ma negare che esista ancora un gender gap, che può essere alla radice di una visione disfunzionale del rapporto uomo-donna anche sul piano affettivo, è a-storico.
La scelta della Treccani di eleggere il femminicidio a parola più significativa dell’anno uscente travalica il riferimento oggettivo a un fenomeno imperante per ascriverlo in una sfera culturale più ampia, sottolineando l’urgenza di porre l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere, stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno al tema. “Come Osservatorio della lingua italiana – motiva la direttrice scientifica dell’omonimo vocabolario, Valeria Della Valle insieme a Giuseppe Patota – non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d’uso della parola femminicidio in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell’uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Purtroppo, nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere”.
La selezione delle parole che nell’anno hanno cambiato la nostra vita rientra nella campagna social #leparolevalgonolanciat
La parola femminicidio, quindi, non può essere abusata o addirittura banalizzata, ma deve sempre evocare, oltre all’orrore e alle responsabilità soggettive, anche i retaggi culturali cui fa riferimento. Come ricordano anche gli studenti del progetto IBicocca dell’