Uccide la compagna in casa e poi si toglie la vita impiccandosi. È successo ieri a Montalbiano, frazione del Comune di Valfloriana, in Trentino, mentre nella notte tra il 29 e il 30 dicembre scorso una donna è stata accoltellata 12 volte dall’ex compagno a bordo di un bus di linea a Milano. Non ce l’ha fatta anche Elisa Scavone, accoltellata dal marito cinque giorni fa. Con lei la triste conta di femminicidi è già arrivata a 5 in soli 12 giorni del 2024.
Prosegue, dunque, la interminabile scia di femminicidi. “Nessuno si era illuso – ha commentato la senatrice Daniela Sbrollini, capogruppo IV nella Commissione parlamentare
In particolare, la “Comunità Papa Giovanni XXIII”, fondata nel 1968 e presente in 43 Paesi dei cinque continenti con oltre 500 centri in tutto il mondo, ha, tra l’altro, suggerito che per combattere i femminicidi bisogna rendere punibile la prostituzione. “Devono essere potenziate le case rifugio e ci deve essere un reddito di libertà fino alla reale autonomia delle donne – ha dichiarato in audizione -. Vanno inoltre riviste le norme penali che puniscono l’aborto privo di consenso”. Tesi che ha trovato il favore della senatrice Alessandra Maiorino (M5S), membro della Commissione d’inchiesta: “È irrilevante se la prostituzione sia volontaria o meno, acquistare un corpo è qualcosa che non è accettabile da un punto di vista etico e del diritto umano”.
Il caso dell’omicidio-suicidio del Trentino ha suscitato molti commenti, forse perché l’ultimo di una serie ormai troppo lunga. Per il ministro dell’Interno “più che nuove norme, dobbiamo fare una riflessione comune su quelle che possono essere tutte le iniziative di carattere educativo e culturale per prevenire in qualche modo la commissione di questi orribili reati”. Piantedosi, a margine di un convegno a Napoli, ha sottolineato che “è già molto attiva un’organizzazione tesa anche a creare delle formule di supporto, non solo risarcitore”, ma “evidentemente non basta. Si può e si deve fare di più” in termini di prevenzione. “Cosa scatti nella mente di chi compie tali gesti doppiamente ‘malati’ non è facile stabilirlo – ha spiegato il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop), David Lazzari -, perché i motivi non sono sempre gli stessi. Un elemento che ricorre spesso è la difficoltà per alcuni uomini di accettare la fine di una relazione sentimentale. Veder naufragare il proprio matrimonio, perché la moglie vuole la separazione, è destabilizzante per certi uomini che non accettano l’abbandono. La fine di una storia significa dover andare avanti con le proprie gambe e le proprie forze. Ma rimettersi in discussione per molti è inconcepibile”. Un rapporto sano, ha aggiunto il presidente del Cnop, “deve essere di pari dignità e di pari supporto”. Se invece “viene vissuto dal compagno/marito come di totale dipendenza dalla propria partner, perché si attribuisce alla compagna/moglie un ruolo genitoriale, allora non è più un rapporto sano, perché il coniuge è un partner, un compagno di strada, non un genitore”.