Le principali difficoltà per l’attuazione nei tempi previsti dell’insieme degli interventi previsti nel piano italiano del Recovery, dai grandi progetti alle riforme, stanno nel complesso rapporto tra stato ed enti locali.
Questa la considerazione di fondo nel discorso di replica del presidente Draghi alla Camera.
Ed è una valutazione che molti commentatori e studiosi formulano da tempo; fra essi, il nostro giornale che, nel pieno delle esaltazioni di un regionalismo acritico e dilagante, ha denunciato i rischi e le negatività delle modifiche costituzionali volute dal centro sinistra nel 1999 e che hanno disegnato un parallelismo velleitario tra le varie istituzioni ed eliminato ogni forma di controllo dello Stato sulle Regioni, lasciando solo spazio per i contenziosi davanti alla Corte Costituzionale.
L’irrompere inaspettato di un virus micidiale e mutevole ha illuminato lo sconfortante spettacolo delle conseguenze della delega alle regioni in materia sanitaria: confusioni, ritardi, gestioni corporative o clientelari, sprechi, di cui hanno fatto le spese sia gli operatori della sanità, sia i cittadini, sia, soprattutto, i malati.
Un sistema pasticciato e disordinato, che consente ad alcune Regioni di derogare dalle regole di comportamento stabilite dalle autorità centrali.
Ne consegue che se, come crediamo, la preoccupazione di Draghi sia totalmente da condividere, fra le riforme non debba, né possa mancare quella di un incisiva revisione del rapporto tra Stato e Regioni, sul modello invano proposto nelle bozze di revisione costituzionale presentate sia da Berlusconi sia da Renzi.
Purtroppo non siamo sicuri che i partiti, da anni ridotti a gusci vuoti di idee e di popolo e a comitati elettorali controllati da ristretti sinedri, sappiano essere disponibili e pronti per la sfida complessiva che pongono gli obbiettivi del Recovery Plan e che, ancora una volta, potrebbe fare premio sull’esigenza del bene comune, l’ossessione o il condizionamento dei sondaggi o la pressione di importanti categorie.
Nella sfida posta da Draghi, assume anche rilievo la riforma fiscale.
Una riforma basilare se si vuole spazzare via la fisionomia di un sistema spietato con i deboli e debole o evanescente con i forti e rompere così la maledizione che fa degli italiani onesti i più tartassati d’Europa.