Il 70% degli italiani, secondo una recente indagine Ipsos, si dice convinto che l’economia circolare possa concorrere al contrasto dell’aumento delle bollette. Eppure, quando si analizzano i dati relativi al ciclo dei rifiuti, che più di qualsiasi altro settore rappresenta il non plus ultra dei modelli di circolarità attraverso la raccolta differenziata, continuano a persistere forti resistenze da parte dei cittadini. Lo dimostra il caso di studio di due realtà d’eccellenza come quella di Umbria e Marche presentato da Legambiente alla IX edizione di Ecoforum.
In Umbria le contaminazioni dell’organico sono al 5%-10% nel 36% dei casi
Nonostante le percentuali della raccolta differenziata delle due Regioni siano su buoni livelli e con trend in crescita da diversi anni, nell’organico raccolto ancora ci sono percentuali significative di materiali non compostabili (Mnc), che ne rovinano la qualità e che sono un problema per chi gestisce gli impianti. Grazie alle analisi merceologiche condotte da Arpa Umbria, tra le poche a rendere fruibile il dato in maniera completa, si evince come solo nel 46% dei casi i Mnc siano inferiori al 5% dell’organico raccolto, mentre nel 36% la contaminazione da Mnc è compresa tra il 5% e il 10% e nel 18% la percentuale di MNC è addirittura maggiore del 10%. Dove la modalità della raccolta avviene con il Porta a Porta (Pap) le impurità sono mediamente inferiori al 5%. La plastica è la frazione più presente tra le impurità dell’organico.
Anche nelle Marche, l’indifferenziata è indietro
Anche tra i rifiuti “indifferenziati’’, grazie ai dati pubblicati da Arpa Marche, ci sono percentuali significative di materiali che possono essere intercettati prima e differenziati correttamente: tra il 14% e il 33% di materiale organico, tra l’8% e il 26% di imballaggi in plastica, tra il 7% e il 18% di carta e cartone. Se consideriamo anche tessili (tra 2% e 16%), pannolini (tra 5% e 29%), i sottovagli (tra 4% e 11%) e la plastica rigida (tra 1% e 5%) si intuisce come debba ancora migliorare la modalità di gestione e raccolta delle filiere in una Regione, comunque, avanti sotto questo punto di vista.
Le soluzioni possibili
Secondo i promotori del forum – Legambiente, Kyoto Club e Editoriale Nuova Ecologia in collaborazione con Conai e Conou – sono tre i pilastri su cui dovranno lavorare i primi cantieri italiani dell’economia circolare dopo la chiusura dei bandi e degli avvisi pubblici sul Pnrr: sistemi di raccolta differenziata innovativi, rete impiantistica di riciclo e progetti faro. Una sfida importante che il nostro Paese non deve assolutamente perdere se vogliamo allinearci agli obiettivi europei. Occorre – dicono gli organizzatori – migliorare le performance sottraendo rifiuti alle discariche o all’incenerimento, attraverso la trasparenza dei processi, le analisi sulle merci e cancellando il concetto di “rifiuti indifferenziati” a favore di quello di “residuo indifferenziabile”. La quantità del riciclo dipende anche dalla qualità della raccolta differenziata.
Il parere degli esperti
“Il primo cantiere da avviare – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – riguarda quello della rete impiantistica su cui oggi si registra una forte disparità tra il Nord, dove è concentrata la maggioranza degli impianti, e il Centro Sud dove sono carenti. Per avvicinarsi all’obiettivo rifiuti zero a smaltimento servono mille nuove impianti di riciclo per rendere autosufficiente ogni provincia italiana. E poi bisogna lavorare al meglio sull’ottimizzazione dei sistemi di raccolta, sui progetti faro che servono al Paese, semplificando gli iter autorizzativi, e sull’innalzamento qualitativo dei controlli ambientali pubblici in tutto il Paese”.
“Occorre cambiare marcia e sostenere davvero quella parte del mondo imprenditoriale, pubblico e privato, in grado di cogliere appieno la sfida dell’innovazione – ha spiegato Francesco Ferrante Vicepresidente Kyoto Club -. È un Paese strano il nostro: con imprese eccellenti nell’economia circolare e scelte politiche in quel campo non all’altezza della sfida. Ad esempio, abbiamo il sistema di raccolta della frazione organica dei rifiuti più avanzato e facciamo invece ancora fatica a superare il Nimby (“non nel mio giardino”) e il Nimto (“non durante il mio mandato elettorale”), che ostacolano la realizzazione dei biodigestori indispensabili per trattarlo e produrre biometano e compost. Potremmo e dovremmo emanare i decreti end of waste, che consentirebbero il riutilizzo della materia, e invece troppo spesso gli amministratori locali pensano di imboccare scorciatoie negative e ricorrere all’incenerimento sprecando risorse”.
“L’economia circolare come soluzione ai problemi economici e climatici è una delle risposte più efficaci – ha commentato Riccardo Piunti, presidente del Conou, Consorzio Nazionale degli Oli Usati -. La realtà dei Consorzi di filiera dimostra ampiamente che la conversione al modello circolare non solo è possibile, ma è in grado di apportare benefici durevoli a vantaggio di tutti. Più rifiuti rigenereremo, meno rifiuti saranno dispersi nell’ambiente e meno CO2 produrremo. La posta in gioco è il nostro futuro se potremo farla nostra solo con il sostegno della cooperazione tra istituzioni, imprese e cittadini”.