L’autonomia dal gas russo resta al centro dell’azione dell’Esecutivo ma per ora rappresenta un traguardo non immediato soprattutto per un problema di riserve utili ad affrontare il prossimo inverno. Se Mosca dovesse interrompere le forniture ora “avremmo un serio problema con lo stoccaggio – ha spiegato il ministro della Transizione, Roberto Cingolani nella sua informativa alla Camera a valle delle ultime decisioni prese dal Consiglio dei ministri sul caro-bollette – Per raggiungere il 90% di stoccaggio per l’inverno 2022-23, sarebbero necessari circa 6 mesi, arriveremmo con gli stoccaggi pieni e potremmo affrontare il prossimo inverno e quelli successivi con una certa tranquillità”. Anche il primo rigassificatore galleggiante, ha aggiunto il ministro, deve entrare in funzione entro l’inizio del 2023 e il secondo entro la fine del 2023 o massimo inizio 2024.
Intanto il Governo torna nuovamente ad intervenire per calmierare gli effetti del caro energia da quale peraltro discende a cascata anche il fenomeno inflazionistico. Misure di sostegno per imprese e famiglie che però ancora non incidono sui meccanismi strutturali dei rincari. Due sono le questioni che andrebbero affrontate per una risoluzione più sistematica evidenziate da Cingolani alla Camera.
Aumenti elettricità non giustificati
Il primo riguarda il meccanismo del costo marginale alla base della borsa elettrica nazionale. L’aumento del prezzo del gas naturale derivante dalle tensioni sui mercati a seguito dei difficili rapporti con la Russia ha determinato che il prezzo al Punto di scambio virtuale del gas naturale in Italia (Psv) sia passato dai circa 20 euro/megawattora di gennaio 2021 ai circa 100 euro/megawattora del mese di aprile, con un aumento di quasi cinque volte e con punte massime anche di 200 euro/megawattora. Ma per quanto riguarda i prezzi dell’energia elettrica all’ingrosso, il fatto che il Prezzo unico nazionale (Pun) abbia registrato valori record – negli ultimi mesi si sono raggiunti i valori più elevati da quando la borsa italiana è stata costituita, attestandosi negli ultimi giorni tra i 200 e i 250 euro/megawattora – è dipeso dal “costo marginale degli impianti di generazione elettrica a gas, i quali fissano il prezzo del mercato all’ingrosso nella maggior parte delle ore”, ha spiegato Cingolani.
Il costo marginale, un meccanismo desueto
Il costo marginale è il meccanismo in uso in gran parte delle borse europee per fissare ogni giorno il costo dell’elettricità, facendo incrociare la domanda stimata e l’offerta da parte dei vari produttori.
Una volta decisa la prima, ogni produttore indica quanta elettricità può fornire e a che prezzo: entrano a far parte del mix di quel giorno tutte le offerte più economiche, fino a coprire quanto richiesto. La cosa strana è che a tutti i produttori l’elettricità viene pagata al prezzo massimo entrato nel pacchetto. Questo sistema nasce in Gran Bretagna con la prima Borsa elettrica per liberalizzare il mercato dell’elettricità. La sua logica era quella di evitare che si favorissero i vecchi impianti a carbone, ormai ammortizzati, che offrivano elettricità a prezzi molto bassi, a scapito di impianti più nuovi, puliti ed efficienti, come quelli a gas, che però non potevano competere sul piano del prezzo.
Oggi, però, le ‘nuove fonti di produzione’, cioè le rinnovabili, avendo quasi sempre un costo del MWh più basso di quello delle fossili, non avrebbero più bisogno del prezzo marginale per far parte del mix giornaliero. Auspicabile, dunque, il disaccoppiamento dei prezzi di vendita dell’energia prodotta da tecnologie rinnovabili elettriche rispetto a quelli del parco termoelettrico, mediante opportuna revisione delle regole di market design. “Data la grande diffusione delle rinnovabili – ha commentato Cingolani – che il prezzo per megawatt ora sia agganciato al prezzo del gas non è giustificato”.
Un tetto massimo dei prezzi europeo ridurrebbe di un quarto le bollette
La seconda questione riguarda, invece, il price cap del gas, ossia un tetto massimo del prezzo del gas all’ingrosso, che l’Italia vorrebbe fosse fissato a livello comunitario. “Un price cap di 80 euro di megawattora – ha detto il ministro della Transizione Ecologica – rappresenterebbe una riduzione di circa il 25% sulla bolletta del gas e ancora una maggiore riduzione della bolletta elettrica. Per l’Italia o qualunque altro grande Paese europeo il price cap nazionale – ha aggiunto – sarebbe estremamente difficile da sostenere. Il mercato semplicemente lo salterebbe a piè pari perché non è conveniente vendere lì il gas. Non sarebbe una politica particolarmente intelligente”. Ma l’Europa nel suo insieme acquista tre quarti del gas che si vende in gasdotto e, quindi, sarebbe in grado di avere un peso sul mercato. “Il compito del price cap – ha detto Cingolani – non è quindi limitare gli investimenti, deve essere anzi abbastanza per non turbare il mercato, ma deve essere capace di garantire che non pesi su cittadini e imprese. Un Tetto che potrebbe essere anche temporaneo, con revisioni regolari e indicizzato”.