All’interno della transizione ecologica si sta sempre più facendo strada il principio di “giustizia ambientale”, che più che a un concetto giuridico sembrerebbe legato a una visione etica del rapporto uomo-ambiente e al diritto di tutti, senza differenze, di vivere in un contesto salubre e in un ecosistema equilibrato, eliminando disuguaglianze dovute agli squilibri tra le economie mondiali e ai deficit di democrazia a livello locale. Dei cambiamenti delle legislazioni ambientali ne abbiamo parlato con l’onorevole Paola Balducci, docente Luiss presso la facoltà dii Giurisprudenza.
Professoressa Balducci, quando si è cominciato a parlare di “giustizia ambientale”?
Il concetto di giustizia ambientale parte da lontano. La prima convenzione quadro a beneficio delle generazioni future risale al Summit di Rio de Janeiro nel ’92. Da quel momento si è partiti a ragionare sul principio di “giustizia ambientale” e molte riforme sono state approntate per una tutela più stringente – anche attraverso la legge penale – dell’ambiente e delle biodiversità, anche in Italia. Lo stesso fatto che i delitti contro l’ambiente siano stati introdotti nel nostro codice penale ne è una dimostrazione. Il percorso è stato lento, prima si avevano solo norme frammentarie, di natura prevalentemente amministrativa e quindi sanzionate pecuniariamente, solo nel 2015 nel nostro codice penale vengono inseriti delitti come l’inquinamento ambientale ed il disastro ambientale. Finalmente abbiamo una giurisprudenza al passo con i tempi.
La giurisprudenza sta, quindi, tenendo conto dei cambiamenti culturali, pensa che sia stato fatto abbastanza?
La strada è ancora lunga e la storia ci insegna che l’ambiente deve essere posto sempre al centro dell’attenzione del legislatore. Proprio l’attuale Parlamento sta esaminando la possibilità di una riforma ben più importante perché costituzionale. Potrebbe modificare gli articoli 9 e 41, imponendo alla iniziativa economica privata di non operare in nessun modo che arrechi danni alla salute e all’ambiente. Sarebbe molto importante far entrare la tutela ambientale in Costituzione.
Potrebbero essere introdotte nei nostri codici nuove fattispecie di reati?
Da tanti anni si parla di “ecocidio” con riferimento ad azioni che provocano gravi e permanenti danni all’ambiente. Alcuni Paesi hanno introdotto questa figura nelle proprie legislazioni, di recente vi è anche la proposta a livello internazionale di equiparare i disastri ambientali ai crimini contro l’umanità. Ciò fa capire che la questione ambientale è un’emergenza mondiale per la quale non si fa mai abbastanza. Purtroppo, a Glasgow è stato fatto un passo indietro rispetto a questo quando sul carbone ha accettato la formula “riduzione graduale” invece che “eliminazione graduale”, dietro la spinta di notevoli interessi economici. Ma non può più essere il mero profitto a dettare il passo.
Il concetto di “giustizia sociale” punta molto a eliminare le differenze sociali, tra chi è più esposto ai rischi e riceve meno benefici dalle politiche ambientali, condivide questo approccio?
Certo. Abbiamo tutti capito che la transizione ecologica costituirà la base della nostra ripartenza, ma il denaro del PNRR che la finanzia dovrà necessariamente essere ripartito tenendo conto delle differenze territoriali. Ad esempio, in Italia sono ben 42 le aree in attesa di bonifica, in cui abitano 6 milioni di abitanti che versano in uno stato peggiore di salute. La pianificazione economica delle risorse deve servire a colmare questi gap ed essere finalizzata al riequilibrio.
Non sempre la responsabilità dei delitti ambientali sono ascrivibili ai privati, spesso ne è responsabile lo Stato stesso. Ne potrà rispondere giuridicamente alla luce della nuova giurisprudenza?
Si. È proprio di questi giorni la notizia che presso il Tribunale di Roma sia stata presentata la prima class action contro lo Stato per “inattività” rispetto agli accordi di Parigi.
Dunque, il diritto alla salute è sempre più tutelato dalla legge, ma che altro si può fare per accrescere la coscienza sociale su questi temi?
Occorre investire nella formazione dei nostri giovani, che devono comprendere che la tutela dell’ambiente significa vita, salute e lavoro. Occorre istruire gli studenti con modernità e competenza, anche per prepararli alle nuove professioni che la transizione richiederà.