La plastica non sta soffocando solo i mari e gli oceani ma anche i nostri laghi. Eppure la loro importanza è inversamente proporzionale all’estensione. Se l’acqua nel suo complesso ricopre quasi il 70% del nostro Pianeta, quella dolce superficiale, rappresenta solo l’1,2% del totale ma nel suo piccolo sostiene e nutre 7,9 miliardi di persone. Cionostante è ancora più minacciata di quella salata. Secondo le stime dell’ONU entro il 2050 saranno oltre 5 miliardi gli esseri umani a rischio di carenza di acqua pulita a causa di continui prelievi, inquinamento, cambiamento climatico, contaminazioni da metalli pesanti, sostanze tossiche e, in misura crescente microplastiche.
I maggiori contaminanti rinvenuti nei laghi Maggiore, Iseo e Garda sono frammenti di microplastiche (circa il 74%), palline di polistirolo (quasi il 20% del totale), polietilene (45%) e polipropilene (15%), con concentrazioni più elevate in prossimità di foci fluviali e restringimenti del bacino idrico. Mediamente sono stati trovati dai 25.000 ai 40.000 residui plastici per Km quadrato. I rischi per l’uomo sono altissimi per i tanti usi antropici delle acque lacustri.
Sulle plastiche, colonie di batteri
Alcune ricerche condotte da Enea, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA), del Cnr di Roma (IRSA-CNR) e Goletta Verde di Legambiente, sui biofilm associati alle microplastiche – la cosiddetta platisfera, cioè l’insieme delle comunità microbiche che ne colonizzano la superficie – condotti nelle acque dei laghi subalpini, oltre che del Trasimeno e dei laghi di Bracciano e Paola nel Lazio, hanno evidenziato la presenza di batteri coinvolti nei processi di biodegradazione delle plastiche. Ancora in fase di studio, poi, il ruolo delle microplastiche come veicolo di trasporto e di diffusione di geni di resistenza agli antibiotici, di microrganismi patogeni e/o microalghe tossiche per gli organismi acquatici e per l’uomo.
Nell’86% dei persici residui di manufatti umani
“Dai laghi di Garda, Como, Orta e Maggiore abbiamo prelevato 80 esemplari di pesce persico per quantificare e analizzare le microplastiche presenti nel tratto gastrointestinale tramite analisi chimiche e morfometriche – ha spiegato Silvia Galafassi dell’IRSA-CNR di Verbania -. Nell’86% degli individui abbiamo trovato frammenti di derivazione umana. I polimeri più frequentemente trovati sono quelli che hanno largo impiego nell’industria. Inoltre, nei pesci con un maggiore contenuto di microplastiche è stata riscontrata una più bassa frequenza di alimentazione, effetto che evidenzia come le microplastiche interferiscano direttamente con l’attività predatoria del pesce persico, come già evidenziato per altre specie”. E il pesce persico è una delle specie d’acqua dolce più diffusa in Italia e che più facilmente ritroviamo nei nostri piatti.