Card. Zuppi: “L’emergenza è solo Lampedusa”

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Non si può parlare di vera emergenza migranti. Alla presentazione del Rapporto annuale sui flussi migratori ad opera del Centro Astalli di Padre Ripamonti, lo ha fortemente ribadito il cardinal Zuppi, presidente della Cei: “A vedere i numeri direi di no, basta anche fare dei confronti con momenti in cui c’è stato un afflusso enormemente superiore. Credo che nel 2011 il governo Berlusconi dichiarò l’emergenza, da allora anche in situazioni con più di 170mila ingressi l’anno, come nel 2014, non è stata dichiarata l’emergenza”. Il vero problema è Lampedusa, che aspetta soluzioni definitive da anni, ma anche lì non si può parlare di emergenza, ha ricordato il cardinale, se il Papa già dieci anni fa vi fece visita come gesto di solidarietà. Secondo il prelato il decreto flussi andrebbe, quindi, rivisto alla luce di una visione meno emergenziale e più strutturale.

In linea con il presidente della Cei anche padre Camillo Ripamonti: “Non nascondo amarezza e delusione di fronte a questa ennesima misura” quale lo stato di emergenza deciso dal Governo. “La risposta ai flussi sono politiche umane e non una politica senza visione e senza futuro”, ha spiegato il presidente del Centro Astalli in apertura del suo intervento alla presentazione del Rapporto 2023. La recriminazione più forte riguarda le diversità di approccio, a un problema che si trascina da anni, riservato all’Ucraina. “La protezione temporanea concessa ai cittadini ucraini – si legge nel documento del Servizio ai Rifugiati dei Gesuiti -, la possibilità di accedere da subito al mondo del lavoro, l’opportunità di ricevere direttamente dei contributi economici e un sistema di accoglienza che ha risposto tempestivamente ai bisogni delle persone, sono state misure importanti che avrebbero potuto essere capitalizzate. Invece, i primi passi del nuovo Governo, dopo l’ennesimo braccio di ferro compiuto mentre i migranti erano sulle imbarcazioni in attesa di un porto sicuro, si sono concentrati su una rinnovata lotta alle Ong che si occupano del salvataggio in mare. E neanche le vittime del naufragio di Cutro hanno sortito alcuna reazione politica di umanità”.
Anche i numeri smentiscono le voci allarmistiche che dipingono il fenomeno in maniera sovrastimata rispetto alla realtà. Il numero di persone in fuga ha superato la soglia dei 100 milioni nel mondo, ma solo una piccola percentuale di questi cerca di arrivare in Europa. Secondo i dati raccolti nel Rapporto, “nel 2022 sono arrivati ​​via mare in Italia 105.129 migranti, di cui 13.386 minori non accompagnati. Il sistema di accoglienza nazionale ha registrato alla fine del 2022  presenze pari a 107.677 persone”. Sono state molte di più le persone fuggite dall’Ucraina ed entrate nel nostro Paese; 170.000 dall’inizio del conflitto. “La maggior parte – continua il Report – è stata ospitata da connazionali già residenti in Italia e solo circa il 20% in strutture d’accoglienza del sistema pubblico, fugando così un ‘iniziale apprensione per l’impatto che la guerra avrebbe avuto sul sistema nazionale. Purtroppo l’esperienza della crisi ucraina non è bastata a fare una riflessione profonda su accoglienza e integrazione dei rifugiati”.
Da quarant’anni l’Italia  rinvia decisioni che affrontino in maniera sistemica il problema dell’accoglienza e la continua “emergenza”, secondo monsignor Zuppi, logora e “tira fuori le cose peggiori”. I tempi e i diritti sono i primi nodi da affrontare: “Intendo tempi certi, ad esempio, per le domande di asilo o di permesso di soggiorno. Non far stare nel limbo tanti ragazzi e ragazze che restano per anni a non fare nulla. Ovviamente c’è gente che si preoccupa per questa inattività, ma la maggior parte di chi arriva sogna solo di fare qualcosa”. A loro “dobbiamo dare risposte che guardino al futuro e tengano presente il mondo e anche il nostro mondo. Cose che non sono in contraddizione”. Per Padre Ripamonti l’urgenza è “sistemare con continuità le vie legali d’ingresso, un compito che gli Stati non possono delegare alla sola società civile”. Il Presidente del Centro Astalli non ha, poi, nascosto le sue preoccupazioni per “l’intenzione di restringere di nuovo le maglie di alcune tipologie di permessi o il pensare di abrogarne altri, perché questo creerebbe ulteriore marginalità”.