Un dialogo anche quello interreligioso oggi è impossibile, ma riaccendere la speranza è il dovere di tutte le comunità, ma ci vorrà molto tempo. Per comprendere l’abisso delle guerre in cui siamo scivolati tra la conta dei morti, dei feriti, delle persone in preda alla disperazione, dei troppi bimbi innocenti uccisi, e all’odio che avvelena ogni relazione, bisogna avere sensibilità cristiana nell’ascoltare le dure e realistiche parole del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme.
Le vie della pace
Dai luoghi del conflitto in Medio Oriente – ma si può dire lo stesso della guerra in Ucraina – il cardinale punto di riferimento dei cristiani in Palestina, è stato nei giorni scorsi in Spagna e poi Italia, a Lodi e ieri all’evento: “Le vie per fare la pace”, tenuto a Roma nella chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Il cardinale ha portato la sua testimonianza, di come il precipizio scavato dai conflitti sia profondo. Ferita aperta ma non per questo rassegnarsi alla disumanità.
Le sofferenze delle persone
“Bisogna attendere qualche generazione”, sottolinea con amarezza il patriarca di Gerusalemme. Dovranno passare anni tra Israele e Palestina per riallacciare quei rapporti di dialogo che superino i rancori. È un’analisi cruda, priva di retorica perché riguarda anche le religioni di come oggi siano distanti nel trovare e dare forza a quanti sostengano le ragioni della pace. “Il dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani è molto difficile”, spiega Pierbattista Pizzaballa “ognuno parla alla propria comunità”. Dentro questo contesto segnato da profonde divisioni i cristiani sono in profonda sofferenza. “La comunità cristiana è poca a Gaza, circa mille persone, tutti oggi senza casa che vivono tra le chiese e le scuola. In Cisgiordania ci sono circa 50mila cristiani, soprattutto nella zona di Betlemme”. Ci si può chiedere come avvicinare la pace a questa situazione?
Arginare l’odio è possibile
La risposta del patriarca di Gerusalemme ci rattrista perché è vera ma nel contempo nutre speranze. “Ora si deve cercare di arginare la deriva di odio, partendo magari dal linguaggio”. Nel frattempo, indica Pizzaballa creare occasioni per ricostruire la fiducia con gesti sul territorio, costruire momenti di incontro. La conclusione dell’intervento suona come un monito rivolto agli stessi uomini. “Le guerre non nascono da chi fabbrica le armi ma dal cuore dell’uomo, ci sarà sempre nella storia del mondo la volontà di sopraffazione”.
Non tutto è perduto
Il mondo è diventato molto più insicuro e sappiamo bene i rischi che corriamo. Possiamo, tuttavia, seguire ancora le riflessioni del patriarca di Gerusalemme. “In Terra Santa non più possibili soluzioni temporanee. Né per gli israeliani né per palestinesi”. In questo desiderio di stabilità emerge un filo di luce. Perché ricorda il Pizzaballa – e noi con lui -, che ci sono persone che, nonostante sperimentino “l’odio musulmano, ebraico e cristiano, vogliono vivere un’altra vita”. Persone che mettono a rischio la propria vita per aiutare gli altri a Gaza e in Cisgiordania in modo che “gli altri si possano salvare”. Finché c’è qualcuno che dà la vita per gli altri vuol dire che in Terrasanta non tutto è perduto.