“Basta con sussidi bisogna promuovere il lavoro vero”. A dirlo in una bella intervista apparsa nei giorni scorsi sulle colonne de Il Giornale è Luigi Marattin, parlamentare di Italia Viva, presidente della Commissione finanze della Camera. Su questo tema e, addirittura con le stesse parole, il nostro giornale si era già espresso più volte di fronte ai dati sempre più difficili e paradossali per un Paese che si fonda sul lavoro.
Pochi lavoratori, troppi inattivi
Su 59 milioni e 641mila di italiani sono 22 milioni e 839mila quelli che lavorano. Mentre gli inattivi, quelli che sono in grado di lavorare ma non lo fanno e nemmeno ci provano sono 13 milioni e 759mila. In più i 23 milioni di lavoratori devono sostenere 17 milioni di persone assistite.
Luigi Marattin parla in modo franco di lavoro, di assistenzialismo e di tasse, temi ricorrenti nei nostri editoriali dove abbiamo presentato proposte, che oggi – sottolineiamo con soddisfazione -, fanno parte di un dibattito nazionale che sta crescendo.
Povertà, RdC antidoto inutile
In questi giorni si torna a parlare di Reddito di cittadinanza, perché ci sono 200 mila richieste in più sui già 4 milioni e 65 mila percettori e che il Mezzogiorno guida la corsa all’aiuto di Stato che è costato in tre anni 20 miliardi. Sul RdC ci sono due recenti notizie, la prima che i 20 miliardi non hanno affatto mitigato la povertà che invece sale, stando alle analisi sempre molto scrupolose e dettagliate, dello Svimez, i livelli di disagio economico per le famiglie sono tornati a quelli del 2018, quando non c’era il RdC. C’è da chiedersi a cosa sono serviti i 20 miliardi spesi? Possiamo dire che c’è stata una pandemia, una guerra e l’inflazione, ma tutto questo conferma che la priorità per il Paese è creare lavoro stabile e remunerato in modo soddisfacente.
Due elementi che danno sicurezza – anche in termini di anti infortunistica-, stabilità economica per chi lavora, e per lo Stato. La seconda novità per il RdC riguarda le “offerte congrue” che grazie ad un emendamento di Fratelli d’Italia, può essere fatto “direttamente dai datori di lavoro privati” ai beneficiari che hanno l’obbligo di accettarne almeno una di tre proposte. Se ci sarà un rifiuto il datore di lavoro privato può comunicare il diniego al Centro per l’impiego ai fini della decadenza del beneficio. Un passo avanti perché oggi in modo quasi unanime si riconosce che il RdC non ha creato nuovi lavoratori ma per paradosso il beneficio viene percepito come una sorta di incentivo a vita o un anticipo di pensione.
Fisco inefficienze e riforme
Altro tema che in questi giorni viene dibattuto è la riforma del fisco. Le questioni in discussione sono diverse, rimaniamo sui due argomenti più sensibili: come rendere meno difficoltoso il rapporto tra cittadino etasse; e il problema delle mancate riscossioni che introduce alla controversa questione di una pace fiscale su cui ragionare. La posizione del Governo per ora è in bilico tra più opzioni. C’è la decisione che prevede rottamazioni e rateizzazioni. Ora si ammettono importi più elevati, si è passati dai 60 mila euro a 160 mila euro, e si possono saltare fino a 8 pagamenti. Altra filosofia è quella di avere un fisco facile a misura d’uomo e recuperare soldi per poi abbassare le stesse tasse.
Su questi due impegni, dopo le promesse elettorali, in molti di sono dileguati. Per capire facciano due esempi, nel 2021 si è registrata la pressione fiscale con il record storico del 43,5 per cento, mentre lo scorso mese di giugno, dalla lettura dell’agenda riportata sul sito dell’Agenzia delle Entrate si legge che i contribuenti italiani hanno dovuto rispettare 141 scadenze fiscali. Di queste, ben 122 (pari all’86,5% del totale) hanno imposto agli italiani di mettere mano al portafoglio. Come non essere quindi d’accordo con le analisti della società di approfondimenti finanziari e sociali, Cgia che sottolinea che “In Italia non solo subiamo un prelievo fiscale eccessivo, ma anche le modalità di pagamento delle imposte provocano un costo burocratico che non ha eguali nel resto d’Europa”.
Evasione e sprechi
In questi due anni di assolute emergenze, dalla pandemia alla guerra, dal caro energia all’inflazione, non abbiamo avuto modo di riflettere su due dati che incombono sulla nostra ripresa. In autunno dovremmo prepararci ad affrontare mesi difficili e imprevedibili. E non si potrà chiedere solo a cittadini e alle imprese di portare il peso delle difficoltà. Il Paese è gravato da una macchina burocratica e da una Pubblica amministrazione che fa fatica a cambiare. Se l’evasione fiscale ha toccato gli 80 miliardi, bisogna pur dire che le inefficienze causate dalla cattiva gestione della Pubblica amministrazione, sono stimate in oltre 200 miliardi di euro all’anno.
Il coraggio necessario
Se davvero vogliamo realizzare un sfida comune nel rendere meno difficile l’autunno che verrà, allora la politica deve avere più coraggio nel decidere.
Si riducano le tasse sul lavoro e si diano fondi alle politiche attive del lavoro, si faccia un condono tombale sui crediti inesigibili, si renda la pubblica amministrazione efficiente, si riducano le spese assistenziali e si moltiplichino quelle per occupazione, incentivi alle imprese e salari.
Sono i famosi “dossier” ancora da affrontare sui quali è nato il governo Draghi. Siamo alle avvisaglie di crisi politiche ma a differenza delle altre volte, non possiamo permetterci di rinviare i problemi. Draghi lo sa e lo sanno anche cittadini e le imprese che credono ancora nella politica e nello Stato.