Sulla flessibilità in uscita si incaglia il confronto sindacati Governo sulla riforma delle pensioni. Passi avanti sono stati fatti per le tutele ulteriori dedicate ai lavoratori disoccupati, gravosi e invalidi, così per Opzione Donna e un percorso di sostegni ai giovani. Argomenti su cui ci sono scelte che sono condivise e un orientamento favorevole del Governo nel proseguire il dialogo. Sull’anticipo di uscita invece il nuovo faccia a faccia tra leder sindacali e i ministri Orlando per il lavoro e Franco per le finanze, non ha fatto registrare progressi. Cgil, Cisl e Uil sono contrari ai tagli ritenuti eccessivamente penalizzanti dell’importo dell’assegno per quanti decidono di lasciare il lavoro prima dei 67 anni.
La posizione del Governo
L’Esecutivo vede con favore l’ipotesi di un anticipo di età ma ponendo condizioni vincolanti perché i calcoli vanno fatti rigorosamente sui versamenti contributivi. Quindi anziché a 67 anni, come previsto oggi per la cosiddetta “pensione di vecchiaia” si potrà andare in pensione a 64 anni di età e 20 anni di contributi ma con un taglio incisivo dell’importo. Ai sindacati questa proposta non piace e non convince. Il Governo torna infatti a sottolineare che se si prevede un ricalcolo interamente contributivo per coloro che escono dal mercato del lavoro a 64 anni, allora il pensionato dovrà pagare un “prezzo” per il taglio degli anni.
Discorso analogo sorto per Opzione Donna dove il ricalcolo contributivo dell’assegno comporta una penalizzazione di circa il 30%, percentuale avversata dai sindacati, anche se la percentuale varia a seconda dei casi, in base alla posizione contributiva dell’interessata. Tuttavia nel caso di Opzione donna, subentreranno nuovi ammortizzatori come ad esempio, il taglio di un anno per ogni figlio. Il dialogo sulla flessibilità di uscita torna ed essere il vero nodo con i sindacati che fanno calcoli per dimostrare che le indicazioni del Governo portano a soluzioni non eque e discutibili sotto il profilo economico.
La situazione attuale
Già oggi sono in vigore norme che prevedono uscite anticipate ma per Cgil, Cisl e Uil sono da modificare. Il tutto ruota attorno agli importi base dell’assegno sociale, – nel 2022 l’importo Inps, è pari a 468,10 euro per 13 mensilità – oggi è possibile un collocamento in quiescenza “ai contributivi puri” che oltre ad aver compiuto i 64 anni di età e ad aver maturato almeno 20 anni di contributi hanno – alla data del pensionamento – abbiamo raggiunto una pensione d’importo pari o superiore a 1.5 e 2,8 volte l’assegno sociale. Analizzando tecnicamente ogni aspetto delle attuali regole utilizzate per il calcolo della pensione, per i sindacati ci sono fattori che penalizzano chi sceglie di anticiparne l’accesso. Ora su questo punto il Governo ha dato nuove indicazioni che sono state in modo generico apprezzare dai sindacati almeno per “la disponibilità”. In pratica l’orientamento è nella apertura mostrata dai Ministeri interessati sulla revisione dei coefficienti di trasformazione e sulla possibilità di eliminare il requisito di avere un assegno pari ad almeno 2,8 e 1,5 volte quello sociale per chi raggiunge rispettivamente 64 e 67 anni e vuole uscire dal lavoro. In altri versi le basi del calcolo saranno diverse, ma finora non sono state precisate.
Occhio al “Montante”
Per quanto riguarda la quota contributiva dell’assegno viene stabilito che il “montante contributivo” (ossia il complesso dei versamenti contributivi effettuati e rivalutati negli anni) si trasforma in pensione lorda applicando un coefficiente di trasformazione tanto più alto quanto più si ritarda l’accesso alla pensione.
Le simulazioni
Secondo la tabella aggiornata per il biennio 2021-2022, il coefficiente di trasformazione a 64 anni è pari a 5,060%, mentre a 67 anni è del 5,575%.
A parità di montante contributivo, ad esempio 200 mila euro per chi va in pensione a 67 anni avrà diritto a un importo di pensione più elevato: pensione a 64 anni: 10.120 euro annui; pensione a 67 anni: 11.150 annui. È evidente che a 64 si perda mille euro l’anno stando con le regole attuali.
Secondo l’osservazione dei sindacati chi deciderà di andare in pensione a 64 anni nel prossimo anno anziché continuare a lavorare fino a 67 anni, subirà con le indicazioni del Governo, una nuova e ulteriore penalizzazione.
Discussione aperta
Il confronto tecnico di età, coefficienti e tagli, proseguirà. Con le posizioni che restano per ora ferme su due linee di principio. Per il Governo chi vuole andare prima in pensione dovrà attendersi un netto taglio dell’importo dell’assegno futuro. Sul fronte opposto i sindacati – la cui base non è anagraficamente giovane – pronti a fare barricate se al lavoratore verrà tolto più del dovuto, in un momento dove tra caro bollette e inflazione l’importo dell’assegno nei fatti si è drasticamente assottigliato.