La riforma della giustizia dovrà affrontare il tema dell’ amnistia o dell’ indulto tenendo conto del numero eccezionale dei carichi pendenti e delle condizioni di sovraffollamento delle carceri. E’ soprattutto una questione di civiltà. Il Parlamento abbia il coraggio di mettere in campo decisioni giuste e lungimiranti.
La riforma della giustizia porta con sé dossier complicati quanto ineludibili. Lo stesso annuncio fatto della ministra della Giustizia Marta Cartabia (smaltire il pregresso), fa comprendere le difficoltà in campo e i tempi ristretti, quando sollecita di “condurre in porto il prima possibile le riforme della giustizia che valgono solo l’1% dei miliardi del Recovery”. Perché proprio dalle riforme della giustizia civile, della giustizia penale, del Csm e dell’ordinamento giudiziario, dipenderà l’arrivo dei fondi europei.
In questi giorni si parla di riforma, i partiti presentano le loro proposte. Si tace, però, sul macigno che ogni azione di cambiamento dovrà rimuovere. La giustizia intesa per la parte che interessa i cittadini, porta con sé un ostacolo insormontabile, quello del pregresso, i processi non fatti.
Liberarsi dell’arretrato alleggerire le prigioni
Per capire serve ricordare alcuni dati: a fine 2019 i procedimenti pendenti in materia civile erano di 2 milioni e 400 mila e 1 milione e 400 mila i procedimenti penali. Sono cifre chiare, sulle quali sorge un interrogativo. Può una riforma partire con un carico così gravoso e denso di contraddizioni? Noi crediamo di no. Una vera riforma può essere credibile e vera solo introducendo in tempi rapidi amnistia e indulto. Si dirà che amnistia e indulto, sono una sconfitta dello Stato, ma lo è anche leggendo le cronache quotidiane che raccontano le condizioni disumane delle carceri, delle violenze, dei suicidi. In questo scenario un atto di clemenza e di ragione vanno compiuti. Così, sempre per stare alla attenzione della cronaca, c’è l’urgente necessità di un provvedimento capace di decongestionare le prigioni. Lo dicono i garanti regionali dei detenuti, in considerazione anche del forte aumento dei contagi da Covid dietro le sbarre. Sul tema del sovraffollamento sono intervenute le Camere Penali nel sottolineare la necessità di garantire condizioni detentive meno disumane a prescindere dalla pandemia.
Amnistia e indulto
L’amnistia estingue il reato e porta alla chiusura dei procedimenti in corso, mentre l’indulto implica la celebrazione del processo perché si calcola sulla base della pena applicata in concreto o sul residuo che il detenuto deve scontare. In ogni caso è evidente che su questo fronte la riforma della giustizia non potrà che prendere atto che lo Stato non è riuscito ad assicurare condizioni di vita umane ai detenuti e di rieducarli in vista del loro rientro nella società.
È un tema rilevante perché da una parte i cittadini si attendono che ogni detenuto sconti la pena, ma con carichi così elevati di procedimenti pendenti siamo sempre di fronte a imputati presunti tali. Il numero di sentenze di risarcimento per quanti vivono in carcere in condizioni inidonee è inoltre in crescita. Così come sono in crescita i risarcimenti per ingiusta pena detentiva. I tempi della giustizia italiana sono eccezionalmente lunghi e le sanzioni alla fine diventano la custodia cautelare e la gogna mediatica. In un Paese civile, sono conseguenze inaccettabili. Secondo l’ultima relazione stilata dal Ministero della Giustizia, – se facciamo l’esempio della Campania – il 42% dei detenuti è in attesa di giudizio a fronte di una media nazionale del 34,5% e di quella europea del 22,4. L’Italia inoltre detiene poi il triste primato in Europa con le carceri più sovraffollate. Lo rivela il rapporto Space, appena pubblicato dal Consiglio d’Europa: al 31 gennaio 2020 in Italia c’erano 120 detenuti per ogni 100 posti. Peggio di noi la Turchia, stato membro del Consiglio d’Europa (ma non dell’Unione), con 127 detenuti ogni cento posti.
I numeri appena citati impongono una scelta radicale che non può essere rinviata. Si dirà che amnistia e indulto, sono una sconfitta dello Stato, ma lo è anche leggendo le cronache quotidiane che raccontano le condizioni disumane delle carceri, delle violenze, dei suicidi. In questo scenario un atto di clemenza e di ragione vanno compiuti. Così, sempre per stare alla attenzione della cronaca, c’è l’urgente necessità di un provvedimento capace di decongestionare le prigioni. Lo dicono i garanti regionali dei detenuti, in considerazione anche del forte aumento dei contagi da Covid dietro le sbarre. Sul tema del sovraffollamento sono intervenute le Camere Penali nel sottolineare la necessità di garantire condizioni detentive meno disumane a prescindere dalla pandemia.
Dietro i numeri ci sono storie personali ma anche la necessità di uno stato di cose che deve cambiare. Serve quindi coraggio per portare avanti riforme necessarie e lungimiranti. Confidiamo nel Parlamento che sia capace di discutere con la verità dei fatti. Che sappia affrontare un problema che come ammesso da tutti non è più rinviabile.
Ogni passaggio riformatore dovrà tenere conto del numero eccezionale dei carichi pendenti e delle condizioni di sovraffollamento delle carceri. Non si tratta solo di una scelta umanitaria ma lo è soprattutto di civiltà. Siamo di fronte a situazioni non più rinviabili.
Il Parlamento abbia il coraggio di mettere in campo decisioni giuste e lungimiranti.
È un intreccio da capogiro. La riforma della giustizia porta con sé dossier complicati quanto ineludibili. Non solo per la portata delle istituzioni in gioco che sono le fondamenta democratiche,
ma per le diramazioni che comporta una riforma che andrà a toccare ambiti diversi: legislativi, i procedimenti civile e penale, il Csm, i tempi della prescrizione; le questioni economiche con il Recovery Found e i temi sociali scottanti con le carceri sovraffollate, i suicidi, l’incertezze delle pene. Perché proprio dalle riforme della giustizia civile, della giustizia penale, del Csm e dell’ordinamento giudiziario, dipenderà l’arrivo dei fondi europei.
In questi giorni si parla di riforma, i partiti presentano le loro proposte. Si tace, però, sul macigno che ogni azione di cambiamento dovrà rimuovere. La giustizia intesa per la parte che interessa i cittadini, porta con sé un ostacolo insormontabile, quello del pregresso, i processi non fatti.
Sono parole che suscitano divergenze, ma sono anche le uniche che permetteranno di far uscire il Paese dal vicolo cieco in cui si trova.
In questi giorni ci si è chiesto, anche tra magistrati, se cogliere l’opportunità di prevedere una amnistia o un indulto? Le risposte sono state equilibrate e attente al problema di un atto di clemenza responsabile. Si può ancora discutere e scegliere tra le due possibilità, ma indulto senza amnistia serve a poco o nulla se si vuole ripartire con una riforma della giustizia non ingessata.