I conti non tornano, al punto che poco più del 13% dei contribuenti si fa carico della quasi metà degli italiani. A mettere a fuoco l’anomalia che segna la crisi del ceto medio, è il Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali che ha presentato ieri al Cnel – in collaborazione con Cida-Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità – la “Settima regionalizzazione sul Bilancio del sistema previdenziale”. Molte le argomentazioni e le osservazioni presentate, con un denominatore comune: serve una svolta per non soffocare quel 13% di cittadini che devono sostenere la vita della maggioranza della popolazione italiana. La situazione paradossale, si comprende ancora meglio rovesciando numeri e percentuali il: 42,59% del totale degli Italiani paga solo l’1,73% dell’Irpef complessiva, una cifra ampiamente insufficiente, si segnala, a ripagarsi anche il solo costo della spesa sanitaria.
Situazione grave e ingestibile
“Non è accettabile”, sottolinea Stefano Cuzzilla, presidente Cida, confederazione dei dirigenti di azienda, “che poco più del 13% della popolazione si faccia carico della quasi metà degli italiani che non dichiara redditi e trova benefici in un groviglio di agevolazioni e sostegni, spesso concessi senza verificarne l’effettivo bisogno. Un 13% che guadagna da 35mila euro lordi in su, e che per questo non può beneficiare del taglio al cuneo fiscale perché è considerato troppo ricco e non può difendersi dall’inflazione nemmeno quando arriva alla pensione, sempre perché è considerato troppo ricco”.
Aumentano le dichiarazioni
Tra i numeri c’è una piccola buona notizia, quella di un aumento dei dichiaranti che sono 41.497.318 e i contribuenti, versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di Irpef, che salgono a quota 31.365.535, valore più alto registrato dal 2008. I conti, tuttavia, mostrano realtà disomogenee. In primo luogo
dei quasi 41,5 milioni gli italiani che fanno la dichiarazione fiscale Irpef, oltre il 40% di questi dichiara di percepire un reddito sulle persone fisiche inferiore a 15mila euro. A ciascun contribuente, corrispondono però di fatto 1,427 abitanti. In totale i redditi prodotti nel 2021 e dichiarati nel 2022 ai fini Irpef ammontato a 894,162 miliardi, per un gettito generato di 175,17 miliardi (157 per l’Irpefordinaria; 12,83 per l’addizionale regionale e 5,35 per l’addizionale comunale), in crescita rispetto ai 164,36 miliardi dell’anno precedente.
Chi paga, dal minimo al top
Da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 8.832.792 italiani, il 21,29% del totale, che pagano in media 26 euro di Irpef l’anno. I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15mila euro lordi l’anno sono 7.819.493, cui corrispondono 11,16 milioni di cittadini (il 18,84%), l’Irpef media annua pagata è di 358 euro e si riduce a 251 euro nel calcolo per abitante.
Lombardia leader, le altre a rimorchio
Anche nel 2022 rimane forte il divario tra le Regioni italiane per quanto riguarda il versamento dell’Irpef (prodotta nel 2021 e dichiarata nel 2022). Il Nord infatti contribuisce per 100,6 miliardi, pari al 57,43% del totale, il Centro con 38,2 miliardi pari al 21,83% del totale, mentre il Sud porta in dote 36,3 miliardi, pari al 20,74% del gettito complessivo. “Una situazione di disequilibrio che trova conferma anche analizzando le singole Regioni”, si pone in evidenza nel rapporto, “con poco meno di 10 milioni di abitanti, la Lombardia versa 40,3 miliardi di Irpef, vale a dire un importo maggiore dell’intero Mezzogiorno, che ne conta almeno il doppio, e persino superiore a quello dell’intero Centro (11,8 milioni di abitanti)”.
Ceto medio non considerato
Nei commenti emergono le difficoltà del ceto medio, che per paradosso, viene indicato come benestante e quindi da tassare maggiormente.
“C’è una visione di un sistema dove ci sono i ricchi che sono quelli sopra i 35-50mila euro”, commenta Luigi Marattin, esponente di Italia Viva, commissione Bilancio tesoro e programmazione della Camera,
“questo o perché il ceto medio non è molto considerato perché la classe politica segue solo gli slogan politici, oppure perché il ceto medio è meno capace di organizzare i propri interessi politicamente”.”Lo spettro politico italiano”, osserva ancora Marattin, “a destra come a sinistra, pensa che il benessere della società coincide con il benessere degli ultimi”.
Investire sulle Politiche attive
Della necessità di una cambiamento parla anche Mariastella Gelmini, componente della commissione Affari costituzionali del Senato, “Serve un cambio di passo, invece la legge di Bilancio va a colpire chi i contributi negli anni li ha versati, chi paga le tasse e chi lavora, mettendo a repentaglio il welfare futuro. Non si può più penalizzare chi versa più contributi senza creare un danno a medio a termine”. “Il governo”, evidenzia Gelmini, “ha scelto in modo corretto di puntare sulle politiche attive, rivedendo la governance del Pnrr e valuteremo i risultati. Dobbiamo cercare di creare un dialogo tra il mondo produttivo, i cosiddetti distretti industriali, e la condizione necessaria per dare personale formato”.
La scelta del Governo
A spiegare la nuova rotta del Governo è Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera,
“Con il concordato preventivo cerchiamo di dare risposte diverse e bisogna lavorare sulla detassazione dei premi di produttività, della tredicesima e su tutto ciò che non è salario ordinario. Tutti gli italiani meritino attenzione da parte del governo e dello Stato quando sono contribuenti puntuali. Inutile che pensiamo di aiutare ulteriormente le prime aliquote che non pagano tasse sostanzialmente”.
Necessario reinventarsi
Di cambiamento storico parla il presidente del Cnel Renato Brunetta. “Il welfare è l’altra faccia del mercato del lavoro. La transizione tecnologica, demografica ed ambientale stanno scardinando l’equiibrio dell”800 e del ‘900 mettendo in discussione quasi tutto. Servono forme nuove di lavoro”, propone Brunetta, “tassazione e prestazioni nuove e innovative. Serve reinvertarsi”.