Il rating di Moody’s salva l’Italia, tassi e mutui affondano il ceto medio

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L’Italia ha superato il temuto giudizio di Moody’s, e il Governo ne esce rafforzato con un sospiro di sollievo. Un taglio alla valutazione avrebbe portato l’Italia al cosiddetto livello “junk”, ovvero “spazzatura”, invece l’agenzia internazionale di rating ha migliorato l’outlook da negativo a stabile. Le motivazioni offerte dall’agenzia Usa in sintesi sono queste: la situazione economia dell’Italia riflette una stabilizzazione delle prospettive “sulla forza economica del Paese, la salute del suo settore bancario e la dinamica del debito pubblico”. In altre parole c’è fiducia verso l’Italia che può farcela.

Ceto medio, tasse e solitudine

Un paio di interrogativi tuttavia rimangono. L’Italia va meglio del previsto, ma chi sostiene il peso fiscale che permette al Paese di rimanere ancora credibile? Chi in questi anni ha perso terreno sprofondando in basso e chi invece ha conquistato vette inimmaginabili? Le risposte sono nei fatti che la cronaca finanziaria ci offre. In primo luogo abbiamo un ceto medio che da anni ha perso il suo ruolo di protagonista in campo economico e, se vogliamo, nella politica e nella società. Professionisti e piccole imprese sono entrati nel mirino di tutti i Governi, sottoposti ad un costante aumento di tasse, con il risultato che quel ceto medio, – una volta era icona di produttività e agiatezza, – è scivolato in giù, additato per paradosso anche come contribuente “infedele”.

Banche extra profitti a gogo

Sull’altra sponda, invece le Banche, i grandi gruppi industriali, economici e finanziari e quanti vivono di rendita con redditi molto elevati. In questa parte del mondo c’è la roccaforte degli Istituti di credito che sbandierano – in tempo di ristrettezze e di vacche magre – extra profitti sbalorditivi, oltre 43 miliardi. Una performance da record facilitata dai rialzi dei tassi di interesse imposti dalla Banca centrale europea, utili che fanno contenti gli azionisti che brindano e, forse sorridono, al fatto che su di loro il Governo ha fatto cilecca. Contro la tassa sul boom dei profitti si sono strappate le vesti i partiti anche nella maggioranza, mentre alcuni gruppi come Intesa Sanpaolo nel rivendicare un ruolo da protagonista nella lotta alle diseguaglianze, ha deciso di destinare 1,5 miliardi di euro per promuovere una società più equa e inclusiva. Un fatto positivo che va sottolineato.

Extra ricchi bye bye Italia

Se, tuttavia, pensiamo che tutti gli affanni della Manovra finanziaria messa assieme con fatica dal Governo arrivano a 24 miliardi più altri 4 da tasse, ci si rende conto delle proporzioni tra chi esce vittorioso nella sfida tra le Banche e lo Stato. Ad alzare i calici e brindare sono anche i grandi gruppi o persone straricche che non pagano le tasse in Italia perché hanno residenza all’estero.

Sopra i 35 mila euro si paga

Entrando nel merito, la riflessione dell’economista Carlo Cottatelli è illuminante e lapidaria: “Negli ultimi dieci anni il peso relativo della tassazione è stato sostenuto sempre più da chi ha un reddito superiore ai 35-40 mila euro”, quindi sottolinea l’economista: “il peso delle tasse cade sempre più sulla classe media”. Il problema è chiedersi fino a quando sarà possibile? Confindustria nei suoi aggiornamenti sullo stato dell’economia descrive uno scenario non certo ottimistico.

Imprese e fiducia in caduta

La crescita è ferma così come il Prodotto interno lordo italiano. L’inflazione è scesa ma non c’è da sorridere con i tassi d’interesse ai massimi, che bloccano il canale del credito. Tutto è in frenata dai consumi agli investimenti. La nota del Centro studi degli industriali diventa man mano sconsolante. Con un credito troppo caro la situazione delle imprese diventa critica. Due numeri spiegano bene cosa avviene: il costo del denaro a settembre è salito al 5,35 mentre i prestiti hanno fatto registrare un -6,7 annuo. Fatto ancora più preoccupante sismo di fronte ad un terzo trimestre del 2023 dove la domanda di mutui ha continuato a ridursi e, sempre più imprese, restano senza credito. Nel contempo si assiste ad una caduta verticale della fiducia delle imprese, delle famiglie e dei consumatori. In questa situazione c’è il dato non marginale che i prestiti in sofferenza ormai toccano i 19,3 miliardi.

Tassi e crediti, danza della crisi

Ci si interroga, inoltre, se il rialzo dei tassi sia terminato. Nessuno lo esclude ed è una situazione ad alto rischio per le imprese in particolare quelle che sono già in affanno, il piccolo commercio, ad esempio, segna ogni mese la chiusura di centinaia di esercizi. La Bce non ha escluso rialzi in caso di nuovi shock energetici e altri imprevisti, con due guerre in corso, infatti, le probabilità sono enormi.

La Manovra ok, ma poi?

Possiamo essere d’accordo con il ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti rinfrancato dal giudizio di Moody’s che dichiara di accogliere “con molta soddisfazione”, e che le “prudenti, responsabili e serie politiche di bilancio del governo”, abbiano il via libera in Parlamento. Ciò su cui ragioniamo con preoccupazione è sapere cosa accadrà a milioni di piccoli imprenditori, alle attività produttive a quanti stringono la cinghia, fanno risparmi, ma non riescono a vedere un futuro migliore. Difficile pensare che il ceto medio una volta impoverito e marginalizzato non rinunci al voto, alla partecipazione politica e democratica. Il Governo e la maggioranza di Centrodestra rifletta, il tempo stringe e per quanti sono in difficoltà, il tempo è già praticamente finito.