I diversi interventi statali per mitigare il caro bollette non bastano a frenare la corsa inflazionistica condizionata dalla crescita dei prezzi soprattutto dei beni di prima necessità come quelli alimentari. A luglio, infatti, il cosiddetto “carrello della spesa” arriva a costare un +9,1%, con un incremento che non si vedeva dal lontano settembre 1984. Se, dunque, l’inflazione si è ridotta di un decimo di punto percentuale grazie al rallentano dei prezzi dei Beni energetici, che passano da +48,7% di giugno a +42,9% a luglio, quella su base tendenziale resta elevata per l’accelerazione dei prezzi dei Beni alimentari lavorati (da +8,1% a +9,5%), dei Servizi relativi ai trasporti (da +7,2% a +8,9%), dei Beni non durevoli (da +2,9% a +3,6%), dei Beni durevoli (da +2,8% a +3,3%) e dei Servizi vari (da +1,1% a +1,6%). Il risultato, secondo i dati Istat, è che l’“inflazione di fondo”, al netto dei soli beni energetici, sale da +4,2% a +4,7% e che i prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,4% su base mensile e del 7,9% su base annua
Il 68% degli italiani avverte il rincaro degli alimenti
L’Istat conferma ciò che i consumatori già sanno, soprattutto chi va al supermercato, cioè che i prezzi sono aumentati quasi del 10% e che l’inflazione sta rodendo il potere d’acquisto delle famiglie, in particolare di quelle che hanno redditi più bassi. Secondo l’Osservatorio Findomestic il 68% degli italiani continua ad avvertire i maggiori rincari proprio nel settore degli alimentari freschi e confezionati. Questo naturalmente frena le loro intenzioni d’acquisto, che a luglio scendono del 5,9%, dopo l’ottimismo di giugno e prima della crisi di Governo. Pesano sulle decisioni, infatti, i rincari, ma anche l’instabilità politica del nostro Paese, la conseguente paura di una possibile recessione economica, oltre all’ansia per i danni derivanti dal il cambiamento climatico, come la siccità e i mancati raccolti.
Una spirale negativa che coinvolge produttori e consumatori
L’aumento dei prezzi dei beni alimentari dipendono da quello dei costi che colpiscono l’intera filiera agroalimentare, spiega Coldiretti: il +170% dei concimi, il +90% dei mangimi e il +129% del gasolio. A questi vanno aggiunti anche l’aumento della dipendenza alimentare dall’estero e il fatto che nel 2022 le importazioni, dal grano per il pane al mais per l’alimentazione degli animali, sono cresciute in valore di quasi un terzo (+29%). Ma un “carrello della spesa” più costoso non significa aziende agricole più ricche. Secondo il Crea, il più importante Ente italiano di ricerca agroalimentare, più di 1 azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività e ben oltre 1/3 del totale nazionale (34%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari.