Nell’ultimo capitolo di una saga che unisce la musica alla politica, il cantante iraniano Shervin Hajipour è stato condannato a tre anni e otto mesi di prigione per la sua canzone di protesta intitolata “For”, un inno di sostegno alle proteste del 2022 per la morte di Mahsa Amini. L’accusa? “Propaganda contro il sistema” e “incitamento alla protesta”. La sentenza, emessa da una corte iraniana, è stata motivata anche dal presunto mancato pentimento di Hajipour per aver pubblicato la canzone. Inoltre, è stato imposto al musicista un divieto di viaggio di due anni e l’obbligo di comporre una canzone sui “crimini statunitensi” oltre alla pubblicazione di post online su tali argomenti. La reazione di Hajipour è stata un mix di gratitudine verso i suoi sostenitori e di riflessione sulla situazione. Attraverso i social media, ha ringraziato i suoi avvocati e il suo agente, ma ha anche rifiutato di nominare il giudice e il pubblico ministero per proteggerli dagli insulti e dalle minacce. Ha sottolineato che gli insulti e le minacce non riflettono i valori umani e ha espresso ottimismo sul futuro, auspicando una maggiore comprensione reciproca.
Sotto accusa
La canzone incriminata, ‘For’, è diventata l’emblema delle proteste contro il regime iraniano. Con i suoi versi poetici che esplorano le motivazioni dei giovani iraniani, il brano è stato un’opera d’arte che ha dato voce alle aspirazioni di libertà e diritti delle donne nel Paese. Il contesto che ha ispirato la canzone risale al settembre 2022, quando Mahsa Amini morì durante le proteste, apparentemente a causa del suo rifiuto di indossare il velo obbligatorio. Le manifestazioni, che miravano a contestare il potere della teocrazia iraniana, furono violentemente represse, causando la morte di oltre 500 persone e l’arresto di migliaia di individui. Nonostante la condanna, la musica di Hajipour continua a risuonare in tutto il mondo, trasmettendo un messaggio di speranza e resistenza. Durante la cerimonia dei Grammy dello scorso anno, il cantante ricevette il premio al merito speciale dalle mani della first lady americana Jill Biden, che lodò la sua canzone come un inno alla libertà e ai diritti delle donne.