Rapporto Unicef. 640 milioni di spose bambine nel mondo. 35 in Italia

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Children's tent bed with pillows and toys. Children's room interior

Farhana, afgana, ha 5 anni quando un creditore bussa alla porta dei suo genitori. Per cancellare il debito vuole in sposa la piccola che, fortunatamente riesce a sfuggire a un destino così terribile scappando. Non è andata altrettanto bene ad Aisha, in Somalia, che a 13 anni è stata data in sposa a uomo più grande di 30 anni e che la picchia quando si ritrova in cinta e non riesce a fare i lavori di casa. Storie che ci sembravo incredibili ma che riguardano 640 milioni di ragazze e donne in vita di tutto il mondo date in moglie durante l’infanzia, 12 milioni all’anno. Lo denuncia il Nuovo Rapporto UNICEF appena pubblicato, che indica la povertà, le discriminazioni di genere, la violenza e le norme culturali che privano le bambine dei diritti fondamentali, tra le cause principali che costringono le bambine a subire questa barbarie. Entro il 2030, stima Save the Children, potrebbero diventare 134 milioni.

1 bambina su 5 si sposa sotto i 18 anni

Quasi la metà delle spose bambine vive nell’Asia meridionale (45%), con la quota successiva nell’Africa sub-sahariana (20%), seguita dall’Asia orientale e dal Pacifico (15%) e dall’America latina e dai Caraibi (9%). Più in particolare, circa il 50% di questi matrimoni precoci sono avvenuti in Bangladesh, Brasile, Etiopia, India e Nigeria. Le conseguenze sono l’abbandono scolastico, le sevizie fisiche e sessuali e le maternità precoci. E per le ragazze dai 15 ai 19 anni il parto resta la principale causa di morte. Dal Rapporto Unicef si evince anche che 40 milioni di queste spose bambine hanno subito mutilazioni genitali. “Le crisi economiche e sanitarie, l’intensificarsi dei conflitti armati e gli effetti devastanti del cambiamento climatico – ha spiegato Catherine Russell, Direttore generale dell’UNICEF – costringono le famiglie a cercare un falso senso di rifugio nel matrimonio precoce. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per garantire il loro diritto a un’istruzione e a una vita autonoma”.

I retaggi culturali prevalgono sulla legislazione vigente

Secondo l’Unicef il fenomeno sarebbe diminuito dal 21% al 19% rispetto alle ultime stime pubblicate cinque anni fa, ma la riduzione globale dovrebbe essere 20 volte più rapida per raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile di porre fine ai matrimoni infantili entro il 2030. L’Organizzazione ha, dunque, lanciato un appello ai Governi per porre fine a questa usanza e proteggere i diritti delle giovani, fornendo loro accesso all’istruzione, ai servizi sanitari e ai programmi di protezione sociale. Parallelamente, ha invitato la società civile a combattere le norme culturali che giustificano il matrimonio precoce e a promuovere l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne. Nonostante, infatti, che in molti Paesi sia stata adottata una legislazione che vieta di contrarre matrimonio prima dei 18 anni sono gli usi e i costumi locali che ancora prevalgono.

In Italia un fenomeno in crescita

E se pensiamo che tutto ciò avvenga in mondi lontani, sbagliamo. Dai dati rilevati dal ministero dell’Interno, dall’entrata in vigore del Codice rosso che ha introdotto nel nostro Paese il reato di costrizione o induzione al matrimonio, in Italia, tra il 2019 e il 2021, sono stati rilevati 35 casi di matrimoni forzati, con un trend di crescita preoccupante (da 7 del primo anno a 20 dell’ultimo rilevato). Da questa indagine ancora parziale emerge che l’85% delle vittime sono donne, di cui un terzo minorenni e prevalentemente di origini straniere, con una concentrazione maggiore nelle Regioni settentrionali, in particolare in Emilia-Romagna e Lombardia. È di appena 5 giorni fa il caso della ragazza indiana costretta a sposarsi dai parenti a Modena.