Manca tutto, acqua, elettricità, carburante. Ma soprattutto l’essenziale per salvare la vita dei feriti. Da quando sono iniziati i combattimenti armati in Sudan, Medici Senza Frontiere ha curato oltre 400 feriti nell’ospedale di El Fasher, l’unico funzionante nella regione del Darfur del Nord, ma che oggi sta rapidamente esaurendo le scorte mediche. “La situazione è catastrofica – fa sapere Mohamed G. Adam, Coordinatore dell’ospedale a El Fasher di MSF -, al punto che l’ospedale è sovraffollato e siamo costretti a curare i pazienti sul pavimento e nei corridoi. Abbiamo già aumentato i letti disponibili da 36 a 108, ma non è abbastanza. Servono aiuti urgenti e servono ora”
Paura per i già fragili equilibri continentali
A Khartoum, dove il conflitto è più aspro, il 70% degli ospedali è inagibile e migliaia di persone in fuga si sono rifugiate nei Paesi vicini in uno stato di totale indigenza. I combattimenti tra le milizie paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) e le forze dell’esercito regolare si stanno trasformando in una vera e propria prova di forza che rischia una regionalizzazione del conflitto, con il Ciad che ha già chiuso la propria frontiera per prevenire questo rischio. Già prima dell’inizio del conflitto c’erano oltre 15 milioni di persone che avevano bisogno di supporto alimentare, un numero in continuo aumento.
Le cifre ufficiali fornite da UNHCR al 2 maggio parlano di 100.000 persone che hanno disperato e urgente bisogno di aiuto e di oltre 800.000 pronte a lasciare la propria casa nelle prossime settimane. “La situazione è molto difficile”, denuncia ai microfoni di RAI News 24 Inge Breuer, vice direttrice WFP in Sudan, nella speranza che i riflettori mediatici non si spengano dopo l’evacuazione dei corpi diplomatici internazionali.
Le sorti del Sudan dovrebbero preoccupare anche l’Italia
Secondo il giornalista sudanese Hafiz Haroun, perseguitato e fuggito in Kenya, “le due parti della guerra civile in Sudan non hanno interesse a fermare il conflitto”. Anche gli sforzi di Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti si sono rivelati vani e la tregua di 72 ore di fatto non si è concretizzata come qualsiasi altro tentativo di un cessate il fuoco. Una emergenza che tocca molto da vicino anche il nostro Paese, che però non sembra mandare segnali di un acceso interesse. “L’Italia è il Paese non solo europeo, ma occidentale, più esposto alle conseguenze della crisi sudanese – fa notare Umberto Tavolato, responsabile delle relazioni internazionale di Fondazione Med-Or ed ex consigliere politico dell’Unione Europea nel Corno d’Africa dalle pagine di Formiche -. Nonostante ciò, è il quartetto composto da Stati Uniti, Gran Bretagna, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti alla guida del processo di transizione sudanese. Ora vediamo che il Governo Meloni ha l’Africa tra le proprietà della sua politica attiva nel Mediterraneo allargato, come dimostra l’agenda degli incontri avuti dalla presidente del Consiglio e dal suo gabinetto sin dall’insediamento. Da qui per i nostri interessi si crea la necessità di vedere l’area in modo ampio, non solo Etiopia e Somalia con cui abbiamo relazioni storiche e fondamentali, ma anche comprendendo appunto il Sudan”.