Haiti, una nazione martoriata da disastri naturali, instabilità politica e crisi umanitarie, sta affrontando una fase di caos senza precedenti. Una serie di eventi drammatici, culminati nell’assassinio del Presidente Jovenel Moïse nel 2021, ha gettato il Paese caraibico nell’abisso dell’incertezza e della violenza dilagante. La recente dimissione dell’impopolare primo ministro Ariel Henry, sotto la pressione di una popolazione stremata e delle nazioni vicine, ha portato il paese sull’orlo di una svolta cruciale. Tuttavia, la prospettiva di un governo di transizione mediato da attori esterni ha sollevato dubbi e critiche tra gli operatori umanitari e i residenti stessi.
Il Professore Greg Beckett, esperto di antropologia presso la Western University in Canada, sottolinea che la crisi attuale non è un evento isolato, ma piuttosto il risultato di una serie di problemi che si sono accumulati nel corso degli anni, a partire dal devastante terremoto del 2010.
Elezioni rimandate
La decisione di Henry di rimandare le elezioni fino al 2025 ha scatenato proteste e aumentato la tensione all’interno di un contesto già instabile. Le milizie armate, presenti da tempo nel tessuto sociale haitiano e spesso manipolate da politici corrotti, hanno visto un’opportunità nel vuoto di potere lasciato dalla morte di Moïse. Questi gruppi, che controllano gran parte della capitale, hanno portato avanti una campagna di violenza senza precedenti, con un aumento significativo di omicidi, rapimenti e stupri, come riportato dal Programma di Dati sui Conflitti dell’Università di Uppsala. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, nel 2023 più di 8.400 persone sono state vittime di violenza, segnando un aumento del 122% rispetto all’anno precedente