L’impegno del Governo e le aspettative delle opposizioni a trovare una via d’uscita al lavoro povero, ha dominato l’agenda politica di Ferragosto. Un dato nuovo che lascia intendere come il tema della tenuta sociale e quello del lavoro e delle remunerazioni siano oggi non più rinviabili. Il premier ha indicato in 60 giorni la possibilità di arrivare ad un accordo sul salario minimo – 9 euro l’ora come sollecitano le opposizioni o ampliare le tutele del Ccnl come chiede il Governo – consultando il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il Cnel che dovrà fornire dei dati oggettivi sui quali discutere e decidere. Noi naturalmente ci auguriamo che il confronto sia serio e costruttivo. Tuttavia rapportare il problema del lavoro, degli stipendi e del futuro del sistema previdenziale, al tema del salario minimo ci sembra un limite perché problemi e soluzioni coinvolgono questioni più ampie è impellenti.
Ccnl e le tutele in atto
I numeri, come sottolineano, sindacati e Confindustria, dicono che oltre il 90% dei lavoratori ha già contratti definiti dalla Contrattazione collettiva nazionale che viene indicata come la soluzione migliore. Lo dicono gli industriali: “Se vogliamo parlare di salario minimo con una soglia minima di 9 euro lordi non è un problema di Confindustria, che va sopra questa soglia”; lo ribadisce il segretario della Uil PierPaolo Bombardieri perché con il Ccnl: “non si assicura solo un salario dignitoso ma si garantiscono una serie di diritti che danno completa dignità al lavoro”.
Rinnovare i contratti la priorità
Se il contratto collettivo resta la stella polare del sistema, oggi tuttavia, per paradosso si parla poco o nulla del rinnovo di 5 milioni di contratti scaduti e che attendono di essere rinnovati. Mentre Governo e opposizioni si concentrano su salario minimo e riformulazione del Reddito di Cittadinanza, si rischia di non affrontare il nodo dei contratti scaduti che portano con sé rivendicazioni e richieste che invece dovrebbero essere sotto i riflettori. Citiamo quello dei 130 mila medici del Servizio sanitario nazionale, o quello dei lavoratori del commercio e dei servizi che vanno avanti con proroghe. La Cisl ha fatto di recente il punto della situazione rilevando che questa estate – ma pare che nessuno se ne sia accorto – si è sprofondati nella emergenza rinnovo dei Contratti nazionali nei settori del terziario di mercato, “scaduti in media da
circa 4 anni”, annota la Cisl, “più di 5milioni di lavoratrici e lavoratori del terziario, distribuzione e servizi, della distribuzione moderna organizzata, della distribuzione cooperativa, del turismo, degli studi professionali, del terzo settore socio sanitario assistenziale e del comparto termale sono in attesa”.
Migliorare i salari degli assunti
A settembre quindi oltre il salario minimo e RdC, Governo e opposizioni dovranno tener conto della realtà che impone nuove priorità come, ad esempio, incrementare i trattamenti economici delle lavoratrici e dei lavoratori in attesa di rinnovo di contratto che nel frattempo sono nella strettoia della perdita del potere di acquisto delle retribuzioni. In più si dovranno prendere in esame tutte le nuove forme “ibride” di lavoro sempre più presenti, rileva ancora la Cisl “nel vasto panorama del terziario di mercato, specie nel settore dei servizi”.
Carenza di manodopera
Altro tema che sfugge ai radar della politica e su cui invece è necessario concentrarsi è la carenza di manodopera. Questione che ha assunto un rilievo nazionale e strutturale. Più che di disoccupazione,
come sottolineano le Associazioni datoriali, bisogna concentrarsi su formazione e politiche attive del lavoro. Cioè creare possibilità di inserimento di manodopera anche extracomunitaria dove è necessario se
non addirittura urgente per la sopravvivenza produttiva di molte imprese e del Paese.
Coprire le necessità
Un passo avanti è l’incrementare gli ingressi extra quote come prevede la nuova norma approvata definitivamente dal Senato la settimana scorsa che amplifica quella introdotta dalla legge di conversione del Dl Pa-bis (decreto 75/2023). La decisione del Senato prevede la concessione del visto di ingresso in Italia agli stranieri che sono stati dipendenti per almeno 12 mesi durante i quattro anni precedenti,
di imprese con sede in Italia, o di società da queste partecipate, operanti in Paesi extracomunitari. Il tutto per ampliare la platea di categorie che si rileveranno utili, quindi elettricisti, idraulici, addetti alla pesca e al trasporto passeggeri con autobus, assistenti familiari.
Realtà contro le ideologie
Un solo dato ci rivela le necessità del Paese. Assindatcolf, associazione nazionale dei datori lavoro domestico, stima che per coprire le esigenze familiari di cura e assistenza domestica servirebbero fino a 23mila lavoratori non comunitari da assumere ogni anno, circa 68mila nel triennio 2023-2025. Sono queste le cifre che ci riportano alla realtà. Tra 60 giorni quando le stime del Cnel su lavoro e salario minimo saranno sul tavolo del confronto Governo e opposizioni, dovremmo dire che si è instradato un percorso che ci auguriamo arrivi a buon fine. Poi ci sarà da affrontare e trovare una soluzione ad altri e più significativi problemi, come il rinnovo dei contratti, l’aumento dei salari di chi già lavora, i sostegni veri e rapidi alle imprese che assumono, e mettere mano alla crescente carenza di personale. Temi che non potranno essere risolti con prese di posizioni ideologiche ma solo con fatti e atti concreti.