Arriva in corner il documento di riforma del CSM sul tavolo del Consiglio dei ministri di ieri, tanto che slitta di una ora e mezza rispetto alla convocazione. La discussione tra le forze politiche è stata “ricchissima” e piena di “interazioni”, come l’ha definita diplomaticamente Draghi in conferenza stampa, che, però, ha incassato l’impegno unanime di votare la riforma in tempi brevi, senza bisogno di ricorrere al voto di fiducia. Obiettivo comune a tutti i partiti, evocato anche dal Presidente Mattarella al suo giuramento, è restituire credibilità al massimo organo giurisdizionale, cancellando i dubbi sulle matrici politiche delle cosiddette inchieste “a orologeria” ed evitare altri casi “Palamara”.
Con impegno del Parlamento, in vigore prima di luglio
È una corsa contro il tempo quella che ora dovrà affrontare il Parlamento se si vorrà che entri in vigore prima del prossimo rinnovo delle cariche del CSM previsto per luglio prossimo. La ministra Cartabia si è detta ottimista sul punto, i tempi tecnici ci sarebbero, perché si tratta di emendamenti a una legge delega già incardinata in Parlamento e già calendarizzata alla Camera. “La riforma del Csm – ha commentato la ministra – era dovuta ai tantissimi magistrati che lavorano quotidianamente silenziosamente fuori da ogni esposizione e ai cittadini che hanno diritto di recuperare piena fiducia nella nostra magistratura”. Alcune differenze di vedute tra i partiti restano, ha ammesso Draghi, ma con l’impegno corale a superarle.
Porte girevoli bloccate anche per incarichi tecnici superiori all’anno
Punto dirimente e divisivo le nuove misure relative alle cosiddette “porte girevoli” ossia alla possibilità di rientrare ad amministrare la giustizia da parte dei magistrati che si sono prestati temporaneamente alla politica. Il compromesso raggiunto, che, a detta della ministra, ha tenuto conto di tante interlocuzioni anche con la magistratura stessa, è che il divieto a rientrare nelle precedenti mansioni riguardi non solo i togati che abbiano ricoperto cariche elettive di qualunque tipo o incarichi di governo (nazionale, regionale o locale) ma anche quelli che hanno svolto mansioni tecniche apicali presso i ministeri (capi di gabinetto, segretari generali o capi dipartimento) nel caso in cui la collaborazione abbia una durata superiore ad un anno. Il divieto si estende anche a esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e governativi, come invece è possibile oggi.