La Riforma della giustizia approda in Aula ma non senza polemiche e voci contrarie. Dalla riunione tra i ministri della Giustizia Marta Cartabia e dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà con i responsabili giustizia dei partiti di maggioranza è, comunque, emerso il comune obiettivo di arrivare all’approvazione già giovedì pomeriggio, senza che il Governo ricorra alla fiducia. La tempistica in questo caso ha una sua rilevanza sostanziale. La riforma dovrà passare al Senato e, una volta approvata definitivamente, tornare al ministero per le norme attuative, il tutto prima dell’imminente rinnovo del Csm in scadenza a luglio.
La stessa maggioranza non rinuncerà a ripresentare gli emendamenti accantonati in Commissione per evitare il muro contro muro. Tra i partiti che sostengono il governo Draghi, Italia Viva, infatti, ha deciso di astenersi, una scelta che, però, non mette a rischio l’approvazione della riforma. “La ministra Cartabia – ha dichiarato il presidente di Italia viva, Ettore Rosato – ha fatto un lavoro straordinario, ma ha fatto mediazione con chi non voleva cambiare assolutamente niente”. “Manca, ad esempio, la responsabilità civile dei giudici”, rincara Renzi con un argomento caro anche alla Lega, che infatti lo aveva inserito tra i quesiti del Referendum di giugno, poi ritenuti incostituzionali dalla Consulta. “La Riforma è una buona base – ha commentato Giulia Buongiorno che già pensa a un nuovo Referendum – ma insufficiente”.
Pronti a dare battaglia i 5 Stelle, che però intendono dare un contributo per migliorare il testo condiviso. Fratelli d’Italia denuncia un andamento dei lavori in commissione Giustizia mortificante, augurandosi che il Governo non apponga la fiducia. “Chi parla di separazione delle carriere attraverso questa riforma prende in giro gli italiani – ha detto nel suo intervento in Aula alla Camera la deputata Ylenja Lucaselli di Fli -. Le carriere, infatti, sono davvero separate solo se si fanno concorsi separati. Per quanto riguarda, poi, il tema dei rapporti tra magistratura e politica non è stato risolto nessun problema”.
Scontenta anche l’Associazione Nazionale Magistrati che ha riunito il suo comitato direttivo per decidere le forme di protesta contro una riforma che scontenta la stragrande maggioranza delle toghe. “Quella di oggi non è una pressione sul potere politico – ha spiegato il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia – ma anzi un momento di alta democrazia. Lo sciopero è uno degli strumenti di protesta. Spero che alcune parti della riforma possano essere attenuate”. Contraria allo sciopero, seppur parimenti critica, la componente progressista, Magistratura Democratica, che considera il testo di legge inadeguato a incidere sulle patologie emerse con il caso Palamara.
In una lettera riservata recapitata questa mattina al presidente dell’Anm, Magistratura Democratica mostra preoccupazioni nei confronti di una “malintesa idea di meritocrazia degenerata in carrierismo e la tendenza a rafforzare gli elementi di gerarchia interni” tra capi degli uffici e magistrati semplici; verso un sistema elettorale maggioritario “che sgancia i candidati dal territorio in cui possono aver dimostrato la loro credibilità e garantisce a pochi centri decisionali la possibilità di governare l’elettorato”; verso una separazione delle funzioni “che è in frizione con il dettato costituzionale” e schiaccia il pubblico ministero “in una dimensione esclusivamente accusatoria” e antigarantista; verso le valutazioni di professionalità “che rischiano di arretrare la cultura dei magistrati” in chiave conformista e piramidale.