Due mesi dopo la sconfitta alle elezioni politiche, il Partito Democratico stenta a trovare una strada che non sia nebbiosa, confusa e contraddittoria. È comprensibile. L’insuccesso del 25 settembre ha lasciato frastornati di dirigenti del partito che hanno rimandato alla primavera l’esame di coscienza. Inspiegabilmente. Tra non molto si voterà i nelle due regioni più importanti d’Italia la Lombardia e il Lazio e a questi appuntamenti il PD avrebbe dovuto presentarsi con una linea politica chiara e possibilmente con un’identità nuova e rafforzata. Rinviando il congresso, invece, continua ad essere impreparato a questi due importanti appuntamenti elettorali e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
In Lombardia il PD ha scelto un candidato molto di sinistra e ha deciso di non sostenere la candidata proposta da Calenda Letizia Moratti. Nel Lazio, invece il PD intende sostenere un candidato comune con il Terzo polo. Quanto queste scelte dimostrino confusione di strategia è fin troppo evidente e anticipa uno dei temi principali su cui il prossimo congresso del PD dovrà riflettere.
Questo partito, che secondo alcuni non è mai nato, è in grado di avere un’identità degna di una sinistra moderna oppure è condannato a oscillare tra massimalismi e, come si diceva un tempo, opportunismi. Il PD dovrebbe rivedere immagine, organizzazione e modo di essere presente nella società. Ha fatto bene, in passato, ad abbandonare il vincolo di dipendenza dal sindacato, a rinunciare alle posizioni sloganistiche e spesso massimaliste ma ha fatto malissimo a perdere il contatto con la sua base elettorale che, disorientata e senza più un riferimento nel partito che un tempo era la sua ancora principale è finito in balia delle sirene del populismo. Ed è proprio il partito più populista, il Movimento Cinque stelle, quello che trae i maggiori vantaggi da queste incertezze e contraddizioni del PD.
E la cosa più singolare è che una componente non irrilevante del PD non faccia altro che proporre un’alleanza proprio con chi sta sottraendo l’elettorato. Assurdo, ma è così. E allora non resta che augurarsi e augurare al PD che questo partito riesca a trovare il bandolo della matassa e diventare una sinistra moderna, non giustizialista, non massimalista, capace di non perdere il contatto con le masse popolari. Se questo non dovesse succedere tutta l’area che un tempo si richiamava a vario titolo alla sinistra rischierebbe di avere come polo di attrazione solo il Movimento Cinque stelle una forza che nell’interpretazione di Giuseppe Conte esprime un opportunismo senza precedenti, un populismo incurante delle conseguenze nefaste delle sue predicazioni, una predisposizione spregiudicata ad approfittare delle difficoltà di larghe fasce della popolazione per carpire il consenso predicando un assistenzialismo che non si vedeva da tempo. Un PD rinnovato e più credibile è sicuramente utile al sistema politico italiano e può riequilibrarlo sottraendolo alle pulsioni estremiste e populiste. Ma perché questo avvenga è necessario che il partito attui una radicale trasformazione di se stesso che, al momento, non sembra essere all’orizzonte.