Ospedali in forte difficoltà per la grave carenza di personale. Liste d’attesa impossibili, interventi gravi rinviati. Un milione e mezzo di persone senza nemmeno il medico di famiglia. Intanto si parla dei test universitari di selezione per le facoltà di medicina a numero chiuso. Un metodo inventato per fare selezioni più o meno alla rinfusa che ha creato un vuoto di professionisti. L’idea era quella di bloccare gli accessi di troppi aspiranti medici. Una selezione preventiva che non ha certo giovato al sistema sanitario nazionale
I test inoltre sono stati spesso oggetto di cambiamenti per errori grossolani delle domande. L’Università continua a procedere con calma disinteressata verso il precipizio in cui la sanità pubblica è caduta. Una persona normale si chiede: “Se c’è una carenza grave di medici, tanto che dobbiamo farli venire da fuori, perché blocchiamo gli accessi ai ragazzi che vogliono studiare medicina?”. Domanda che da anni rimane priva di risposta.
Sarebbe bello e razionale che la selezione degli aspiranti medici avvenisse con gli esami veri, durante il percorso di studio e di formazione che sono la garanzia della preparazione dei medici. Invece blocchiamo tutto prima. Il numero chiuso con il bilancino filtra l’accesso alle Università. Poi iniziano gli impegnativi anni di studi per approdare ad un lungo precariato fatto anche di guardie mediche pesanti sotto il profilo professionale e scarsamente remunerate.
Risultato: dai test fino all’assunzione del neo medico va in scena la disfatta della sanità pubblica.
Sistema demenziale
Un conto sono le statistiche e le valutazioni di questionari, o le necessità di rettori e manager Asl. Altra cosa la realtà delle persone che hanno bisogno di cure, o di quanti non hanno più nemmeno il medico di famiglia. La realtà per loro è un muro di difficoltà. Di percorsi demenziali, spesso labirintici e irrisolvibili. Dalle lunghe code nei pronto soccorso, alle liste di attesa per gli esami specialistici, al rinvio di interventi anche per patologie gravi. Una situazione di disfunzioni che porta le persone e i lavoratori all’esasperazione.
La crisi degli ospedali pubblici
La sanità è nel baratro senza che si dica chiaramente il perché. Gli ospedali sono alle prese con un caos pericoloso. Dalle corsie ospedaliere sempre più in affanno arrivano gli Sos da ogni parte d’Italia per la carenza di medici. Come dimenticare, ad esempio, la caccia agli anestesisti e ai pneumologi nei mesi della pandemia. Dramma nazionale da cui non abbiamo imparato molto. Oggi abbiamo il quadro di una organizzazione della sanità che si aggrava giorno dopo giorno fino a un punto di non ritorno. Di fronte a questa situazione tremenda ci sono state decisioni che si portano la responsabilità di costi sociali elevati e una sofferenza delle persone a cui qualcuno dovrebbe dare risposte e le scuse.
I test di ammissione
La rabbia, come porta a poco e viene già troppo esercitata nei talkshow, per questo cerchiamo di capire che succede ad esempio per i test di ingresso a medicina. Perché sono in contraddizione con le richieste della sanità pubblica. Ieri si dava notizia che i famosi “test di accesso” saranno più dedicati a materie disciplinari, quindi meno domande di logica e di cultura generale. Insomma cambiano ancora – ogni anno non si sa chi abbia sbagliato – le prove per i corsi ad accesso programmato nazionale di Medicina, Veterinaria e Professioni sanitarie. Il nuovo decreto – per l’anno accademico 2022/2023 – definisce modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico di Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, Medicina veterinaria e ai corsi di laurea delle Professioni sanitarie.
Sappiamo dalle agenzie stampa che il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha firmato il provvedimento che “rimodula, rispetto agli anni passati, il numero dei quesiti per ciascuna materia”. La cosa interessante che di fronte alle esigenze pressanti degli ospedali, il Ministero annuncia che “il numero dei posti disponibili per le immatricolazioni sarà reso noto con un successivo provvedimento”, nel contempo si rende noto che sarà data: “più attenzione alle materie disciplinari e meno logica e cultura generale”. Vedremo quanti ragazzi si sottoporranno al quiz di ingresso, quanti supereranno l’esame, infine il dato del “numero chiuso”. Magari tra pochi anni ci accorgeremo che metà dei medici presenti nelle nostre corsie di ospedale saranno stranieri, laureati in Paesi che nemmeno sanno cosa siano i test di ingresso. Dovremmo affidarci a professionisti che ci auguriamo sappiano l’italiano. D’altronde, si dirà non fa niente, con l’attuale carenza di medici i pazienti negli ospedali i medici se li vedono è già una soddisfazione, figuriamoci poi parlarci.
Allarme e disfatta della sanità
È importante ricordare come la sanità sia uno dei settori più in difficoltà dell’Italia. Molte le cause e tra queste la gestione affidata alle Regioni che hanno finito di rendere disfunzionale un settore che non trova più raccordi efficienti tra direttive e indicazioni nazionali e la loro applicazione nei territori. Poi la grande crisi dei medici e personale ha finito di accelerare la disfatta. Gli Sos si moltiplicano dai grandi e piccoli centri. Un solo dato: nei pronto soccorso mandano 4.500 medici. Più in generale negli ospedali ci sono 10mila posti vacanti. Emorragia che tocca anche gli studi dei medici di famiglia: mancano circa 4mila camici bianchi. Secondo le stime di Mario Balzenelli, presidente della Sis 118, “i medici a bordo ambulanza sono diminuiti di oltre il 50% negli ultimi 10 anni”. Sono scappati da un lavoro “usurante e mal pagato”
Che fare?
È l’interrogativo che ci si pone. Come arginare una crisi così grave? Le Associazioni professionali indicano una strada. “La prima cosa è assumere tutto il precariato che si è sviluppato nel settore durante la pandemia e quindi andare oltre i limiti imposti alla spesa sul personale. Ma”, sollecita l’Anaao-Assomed, “si deve fare ancora di più: allargare le assunzioni nel Sistema Nazionale a medici specializzandi a partire dal terzo anno. È l’unica arma che abbiamo”.
Eccellenze finite, non solo sanità
Ci auguriamo che con i fondi dedicati alla sanità dal Piano nazionale di Ripresa si possa imboccare una nuova strada. La sanità non è l’unico grande settore italiano in difficoltà. Possiamo dire con chiarezza perché ormai non è una opinione politica ma è storia del Paese, che l’Italia è riuscita a dilapidare, a non tener cura e a svendere tutti i suoi beni. Abbiamo distrutto la chimica, l’elettronica, le acciaierie, le telecomunicazioni, i trasporti con il caso dall’Alitalia, i porti, le partecipazioni statali. Abbiamo preferito alle politiche del lavoro quelle dell’assistenza. Abbiamo portato le piccole imprese artigiane, dell’agricoltura e della pesca a lavorare in perdita. L’automotive non più una risorsa di innovazione e lavoro italiana. I giovani fuggono e i capitali pure. Negli ultimi venti anni le chimere politiche improvvisate, i protagonisti insensati, hanno mandato in frantumi una Italia diventata potenza industriale ed economica. Oggi paghiamo per le troppe scelte sbagliate. Su questo tema, la “Caduta di un Paese”, faremo degli approfondimenti. Dopo la sanità, la fine dell’Alitalia.