Nella sua casa di montagna, un uomo anziano e stanco è seduto nella sua poltrona con un cuscino di velluto dietro la testa, le gambe appoggiate su uno strapuntino improvvisato con una cassetta della frutta. È pallido e teso, a Parigi stanno decidendo sul futuro del nostro continente. Si alza, telefona a Roma, prende un appunto su un pezzo di carta, sussurra più a sé stesso che alla figlia accanto a lui: “Se ci fossi io, li convincerei a firmare”. Si risiede nella sua poltrona, ha fatto tutto quello che poteva per il suo Paese, triste chiude gli occhi, per sempre. È il 30 agosto del ’54 e la Francia fa saltare il primo progetto di Comunità europea di difesa (CED) presentato dal Comitato centrale della UEF (Unione Federalista Europea).
Quell’uomo stanco e solo, è Alcide De Gasperi, uno dei padri della nostra democrazia e del primo progetto di Europa unita.Aveva parlato tanto e con grande entusiasmo di quella idea con i suoi amici, il tedesco Konrad Adenauer e il francese Robert Schuman, tutti convinti che per i Paesi usciti dalla grande guerra con le ossa rotte l’unica speranza fosse allearsi con i propri vicini. La Francia, però, non ne era affatto convinta e anche l’Italia non si sentiva abbastanza rappresentata. L’unico che avrebbe potuto convincerli era proprio lui, se le forze non lo avessero abbandonato.
Comincia così il racconto, pieno di nostalgia di Maria Romana, la più grande delle quattro figlie del grande statista, che assistette per tutta la vita il padre nel suo impegno politico e negli incarichi istituzionali.
Come era De Gasperi papà?
Molto attento, il primo a preoccuparsi se qualcuna di noi aveva la febbre, anche se il suo tempo era poco, diviso tra gli impegni pubblici e quelli familiari. Per tanti anni la nostra è stata una vita normale, la domenica si andava tutti insieme alla messa e all’uscita si passava dalla pasticceria di piazza Mazzini a comprare le paste per il pranzo. Soldi non ce ne sono mai stati molti, il cordone della borsa lo teneva mamma, a papà lasciava giusto i soldi per il quotidiano.
Non era, quindi, come oggi un privilegio dedicarsi alla politica?
Mio papà ha combattuto con la povertà per la maggior parte della sua vita. Quando era studente, il nonno gli diede il permesso di andare a studiare all’università di Trento ma soldi non ce n’erano e dovette arrangiarsi con le lezioni di tedesco. La sera andava con i suoi tre, quattro amici alla chiesa dei poveri per un piatto di minestra. Quando non c’era neanche quella, si riunivano in una stanza dopo aver comprato un chilo di mele mentre uno di loro suonava il violino. Dopo la laurea, divenne deputato del Trentino. Allora, per essere eletto bisognava prepararsi tanto e girare tra la gente. Il Trentino era piccolo e prevalentemente terra di contadini, lui andava tra le persone povere, vestite malamente, per conoscerne i bisogni e cercare di tirare su il suo Paese. Una missione senza soldi. Una volta un vescovo importante lo incaricò di girare per le campagne per spiegare cosa fosse la politica e l’importanza del suo sodalizio con la religione. Gli dava 50 lire e con quelle doveva pagarsi tutto: treni, pasti, ogni cosa. Questo lo ha profondamento educato alla semplicità.
Poi l’arresto da parte dei fascisti…
Si, un altro periodo davvero buio per la famiglia. Ma anche lì fu mandato in missione tra la gente dell’Alto Adige, che fino al giorno prima erano amici della Germania e il giorno dopo erano diventati “nemici”. Quando fu liberato, ricominciò da capo. Divenne bibliotecario del Vaticano ma solo part time. Nel pomeriggio traduceva le lettere dal tedesco che venivano dal Trentino e la mamma le batteva a macchina. Ogni tanto si affacciava dalla porta dello studio e ci diceva: “Bambine fate piano per favore”, perché correvamo su e giù per il corridoio.
Era, quindi, un burbero?
Assolutamente no, era serio. Si era sposato tardi, a quaranta anni, quindi era un padre grande. Poche volte gli ho sentito alzare la voce e solo con i nemici politici. Mai uno schiaffo o un castigo. Per lui era importante il dialogo e il confronto. Ci spiegava dove avevamo sbagliato, ci faceva ragionare e ammettere da sole l’errore. Ci ha sempre trattate da adulte, ci spiegava ogni cosa, il rapporto con lui era una continua condivisione.
Lo definirebbe un padre affettuoso?
Era affezionatissimo alla sua famiglia e molto affettuoso anche se direi “all’austriaca”. La sua è stata una vita durissima e tutta dedicata ad aiutare chi era in difficoltà. Piangeva poco, era molto coraggioso e mosso da una grande forza interiore. L’ultimo giorno della sua vita era ancora lì a pensare al suo Paese e a rammaricarsi per non essere presente quel giorno in cui si decideva della prima unione militare europea. Era già tutto scritto, persino le divise e gli scarponi che dovevano indossare gli ufficiali e le truppe, ma la Francia non voleva impegnarsi e stava lasciando che le cose andassero avanti da sole. È una delle poche volte che l’ho visto piangere, è tornato a letto, si è messo a pregare ed è morto.
Lei ha scritto un libro dal titolo emblematico, “De Gasperi, un uomo solo”. Perché solo?
Sentiva il peso delle tante decisioni che aveva preso: il passaggio dalla monarchia alla repubblica, la nascita di un progetto europeo, la lotta per il voto alle donne, la Democrazia Cristiana…Si sentiva abbandonato anche dal suo stesso partito quando si trattava di prendere le decisioni vere. Lui cercava a tutti i costi di convincere le persone, non di imporre il suo pensiero. Allora c’era la lotta sotterranea tra comunisti, socialisti e democristiani. I comunisti erano necessari al governo, lo scarto al voto per la Repubblica fu piccolissimo, ci voleva una grande serietà per mantenere in equilibrio quegli assetti. Intorno un Paese poverissimo per il quale fare le scelte giuste C’era qualcuno che non era d’accordo con lui, che poi prese le redini del partito e lo trasformò in altro, non mi faccia fare i nomi. Quando è morto sapevo che la storia avrebbe parlato di lui, nel bene o nel male. Una vita solitaria la sua anche se passata in mezzo alla gente, spesso incompresa. Sempre seguìto ma mai accompagnato, in molti lo fuggivano, le sue erano state decisioni difficili. Una solitudine spirituale, nonostante avesse investito tanto nell’amicizia e nell’amore.
Anche da Presidente del Consiglio aveva a cuore gli ultimi?
Ricordo perfettamente che, per aiutare i senza tetto dei dintorni del Viminale, gli faceva scavare delle buche davanti al ministero per avere una scusa per pagarli. Poi di notte faceva richiudere quelle buche e il giorno dopo ricominciava da capo. I primi soldi che arrivarono in Italia furono quelli americani e li ottenne solo grazie alla sua reputazione e onestà. Quando arrivò alla Conferenza di pace di Parigi con tutti i rappresentanti del mondo subito dopo la guerra, dove l’Italia era considerata una reietta per l’amicizia con il fuhrer, mio padre pronunciò le famose parole: “So che tutto è contro di me, tranne la vostra personale cortesia”. Nessuno si mosse, solo il rappresentante americano si alzò in piedi in segno di rispetto e riconoscimento della statura dell’uomo.