Grazie ai Corridoi umanitari, altri 51 rifugiati siriani sono stati tratti in salvo in Italia, aggiungendosi ai 7.500 profughi accolti in Europa grazie a una buona pratica promossa dalle associazioni umanitarie italiane.
Una risposta concreta a persone e famiglie vulnerabili, che hanno il diritto come chiunque altro a essere protette, arriva ancora una volta dall’istituto dei Corridoi Umanitari promosso da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dalla Tavola valdese in accordo coi Ministeri dell’Interno e degli Esteri, e che dal febbraio 2016 hanno portato in salvo in Italia dalla Siria quasi 3mila persone.
L’ultimo arrivo è proprio di questi giorni. Sono, infatti, atterrati il 5 luglio a Fiumicino, con un volo proveniente da Beirut, 51 rifugiati siriani, che hanno vissuto a lungo nei campi profughi della regione dell’Akkar, nella Valle della Bekaa e in alloggi precari alla periferia di Beirut. Il loro arrivo in Italia, in un momento molto difficile per il Libano a causa del vicino conflitto tra Israele e Hamas, è stato reso possibile grazie appunto ai Corridoi Umanitari che in Europa a oggi hanno salvato complessivamente 7.500 rifugiati.
I nuclei familiari giunti a Roma saranno accolti in diverse regioni italiane (Calabria, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana), in parte grazie a parenti giunti in precedenza coi Corridoi Umanitari e ormai bene integrati nel nostro Paese, in parte accolti in case messe a disposizione da famiglie italiane, associazioni, Diaconia valdese e Comunità di Sant’Egidio. Queste ultime li accompagneranno nel percorso di integrazione, attraverso l’insegnamento della lingua italiana e l’inserimento nel mondo lavorativo una volta ottenuto da loro lo status di rifugiato.
I Corridoi Umanitari, interamente autofinanziati, sono un’iniziativa della società civile che dimostra come sia possibile coniugare la salvezza dai viaggi in mare e dai trafficanti di esseri umani con l’accoglienza e l’integrazione. Una buona pratica riconosciuta a livello internazionale, che può diventare un modello per tutta l’Unione Europea.