Ricordare non basta. Dal 2013 altri 30.000 naufraghi nel Mediterraneo

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Flower Wreath on Water River. Ligo, Ivan Kupala. Midsummer Solstice Holiday concept.

Il 3 ottobre sarà celebrata in Italia la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza in ricordo dei 368
migranti che undici anni fa persero la vita nel terribile naufragio avvenuto davanti alle coste di
Lampedusa.

Istituita dalla legge 45/2016, la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza ha lo scopo di
commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e
solidarietà, perché “ricordare le vittime – dice Padre Camillo Ripamonti presidente del Centro

Astalli – vuole dire prima di tutto rispettare la dignità e i diritti dei vivi”. Però, secondo l’OIM
(International Organization for Migration), che dopo il naufragio del 3 ottobre ha avviato il
progetto “Missing migrants” per documentare tutti i casi di migranti morti o dispersi nel
mondo, dal 2014 al 2023 sono stati comunque oltre 28mila i migranti che risultano deceduti
o dispersi nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa per chiedere asilo. Un
numero davvero impressionante di bambini, donne e uomini, spesso dimenticati.

Alla tragedia di undici anni fa fece seguito l’appello “Neanche più un morto nel Mediterraneo”
rivolto alle istituzioni nazionali ed europee, ma in realtà da allora poche cose sono davvero
cambiate. Molte delle politiche messe in atto da quel tragico 3 ottobre ad oggi vanno in una
direzione estremamente preoccupante rispetto al fenomeno che non sembra decrescere e non di
rado in aperta violazione dei diritti umani e delle principali convenzioni in materia di asilo. A dirlo
è il Centro Astalli: “La storia di questi anni è stata testimone di un generalizzato atteggiamento di
complice indifferenza – denuncia Padre Camillo Ripamonti – quando non di una vera e propria
criminalizzazione di chi si mette in viaggio in cerca di una vita degna, spinto da guerre e
persecuzioni, da cambiamenti climatici, dall’ingiustizia, o da gravi forme di povertà che
l’atteggiamento predatorio dell’Occidente ha reso strutturali. In questi anni ci siamo trovati più
volte a chiedere che il soccorso in mare non fosse preoccupazione e prerogativa esclusiva di
organizzazioni non governative, ma fosse responsabilità, come dovrebbe essere, degli Stati. Più
volte abbiamo invocato l’apertura di vie legali, se quelle usate dai migranti erano
irresponsabilmente e crudelmente definite clandestine”.

La commemorazione “è un’occasione per riconoscersi comunità che accoglie e si arricchisce
delle reciproche differenze – aggiunge p. Ripamonti -. Le politiche siano all’altezza del desiderio
di pace che la società civile esprime. Fare memoria è un atto dovuto, ma se non diviene atto di
responsabilità è vano”.