Troppi negozi di giovani chiudono, aiutiamoli. Dai migranti lezioni di crescita e imprenditorialità

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Si chiama soft power lo speciale potere italiano fatto di cultura, arte, storia, moda, cibo, qualità della vita. Sono le eccellenze che attraggono il mondo verso di noi, un potere che ci ha permesso di primeggiare di essere inventori e protagonisti del cosiddetto life style. Il Rinascimento con cui l’Italia ha conquistato da Occidente a Oriente civiltà e visioni di vita. Un potere oggi che volge al declino. Una caduta che porta i segni della sfiducia degli stessi italiani che, da alcuni anni e in modo rapido, hanno rinunciato a fare impresa in quei settori per noi e per la nostra economia cruciali.

Sfiducia che rende infelici

Possiamo riflettere su due dati, che spiegano bene il paradosso in cui viviamo, e che purtroppo non destano gli allarmi dovuti. Il primo pesante segnale di sfiducia arriva dalla caduta dell’Italia nel fare impresa nel settore della moda. Unioncamere segnala che quasi diecimila negozi di abbigliamento hanno gettato la spugna. Una chiusura silenziosa – i commercianti non riescono a far clamore in piazza – che si è svolta negli ultimi 4 anni, un declino non ancora del tutto giunto a termine. Nel leggere i numeri, infatti, si evidenziano altre sorprese negative, come, siano le imprese guidate da giovani e da donne a chiudere. Il declino, illustra Unioncamere, ha interessato “fortemente” le componenti femminili e giovanili. È calcolata, rispettivamente, di oltre 4.700 e 2.500 negozi la perdita registrata nel settore in termini assoluti, corrispondente ad una variazione negativa pari al 10% per le imprese ‘rosa’ e di oltre il 26% per quelle under35.

Disfatta che preoccupa

A livello territoriale la crisi restituisce l’immagine di una Italia con meno vetrine in tutte le regioni. Con punte negative in Lazio, Lombardia e Toscana che sono le regioni in cui la contrazione degli esercizi è maggiore in termini assoluti. Le tre regioni, infatti, determinano quasi la metà della variazione negativa registrata a livello nazionale (-4.272 attività pari al 46% del totale).

Immigrati protagonisti

Se i giovani e le donne perdono fiducia nell’Italia che crea bellezza, abbiamo per contro una realtà del tutto diversa in settori dove cittadini immigrati si sono fatti avanti conquistando dei primati. Ex immigrati che in Italia trovano un Paese nel quale investire e lavorare con ottimi risultati. Ancora i dati ci raccontano storie di fiducia e di ambizioni riuscite. Lo riferisce la Fondazione Leone Moressa con uno studio, sugli imprenditori immigrati che nel 2022 sono 761 mila (10,1% del totale). In dodici anni (2010-22), le imprese sono cresciute (+39,7%) mentre quelle degli italiani sono diminuite (-10,2%). Incidenza più alta al Centro-Nord e nei settori di Costruzioni, Commercio e Ristorazione.

Imprese che fanno utili

Questo divario spiega bene il distacco tra la sfiducia e il disamore degli italiani e, al contrario, l’attenzione che gli immigrati hanno verso il nostro Paese. Una presenza che fa crescere il numero di contribuenti immigrati. Tradotto in soldoni si tratta di 4,3 milioni di contribuenti (10,4% del totale), che nel 2022 hanno dichiarato redditi per 64 miliardi di euro e versato 9,6 miliardi di Irpef. Le imprese degli immigrati fanno utili e pagano le tasse, che portano al Paese quasi 154 miliardi di valore aggiunto, dando un contributo al Pil pari al 9%. Una incidenza sul Prodotto interno lordo che aumenta sensibilmente in agricoltura (15,7%), ed edilizia (14,5%).

Giovani e donne in difficoltà

Un fatto positivo che ci impone una domanda? Perché questa caduta di visione dei giovani italiani verso il futuro? Perché le città si spogliano di vetrine di moda? Ci sono più motivi, dalla crisi della natalità, e quindi meno ragazzi, si spiega così, ad esempio, che sul totale delle persone che ricoprono una carica all’interno delle aziende italiane (titolari, amministratori o soci), in 10 anni la presenza di over 70 è aumentata di un quarto, più o meno quanto è diminuita quella di giovani di 18-29 anni. Poi c’è il commercio on line con sempre più italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate. Un declino che ha interessato le componenti femminili e giovanili. Ma c’è un aspetto che riteniamo sia il più delicato e decisivo.

Riconquistare il futuro

Abbiamo come Italia riconoscimenti e tutele internazionali per il cibo, la moda, il designer, l’arte fino alla musica lirica. La stessa Italia era sinonimo di eleganza e di vita. Dobbiamo constatare dai numeri e dalla realtà che non chiudono solo i negozi, ma si è affievolita la nostra visione di “Rinascimento”, di un orizzonte felice. Come ricerche sociologiche ci identificano, siano diventati un popolo disorientato, stanco e ingrigito. Ma dopo tante analisi e osservazioni, possiamo ancora farcela. Bisogna recuperare lo spirito del dopoguerra. Porre in primo piano il valore etico del lavoro e del fare impresa, per migliorare se stessi, creare una economia e un benessere diffuso. Se l’Italia è attrattiva e redditizia per quanti vengono da altri Paesi, allora dobbiamo ricreare anche per gli italiani un circolo virtuoso di interesse e prospettive. I negozi devono essere un esempio di modernità e accoglienza, di bellezza e accoglienza, ma lo devono essere anche le leggi, gli aiuti, gli incentivi che il Governo può mettere in campo. Aiutare i giovani esercenti, dare a loro più sicurezze, incentivi alla occupazione, puntare sulla loro voglia di realizzare. Ci rimangono non molte cose in Italia, ma i nostri beni non lasciamoli cadere in mani altrui, forse abbiamo mille difetti ma creatività, gusto per la vita e ambizioni non ci mancano. Riproviamo ancora a riprenderci il nostro futuro.