Con la Befana ci siamo lasciati le feste natalizie alle spalle. Un insieme di giorni lieti che sono la celebrazione della nascita e di in futuro da affrontare e far crescere. Nella nostra società italiana, come in tutto l’Occidente e in Giappone, siamo tuttavia chiamati ad una sfida nuova e inedita per la nostra civiltà, quella di una popolazione che invecchia rispetto ad una minoranza di giovani. È la prima volta che accade e sappiamo che è una inversione epocale. Bisogna ragionare su come riorganizzare la società, l’assistenza, come offrire nuovi servizi, come utilizzare il “sapere” di chi ha vissuto altre epoche maturando un ricco bagaglio di esperienze che vanno valorizzate. L’economia ha trovato un neologismo con la “Silver Economy”, ma la società attuale, possiamo dirlo con onestà, è ancora molto indietro.
Vicende su cui riflettere
Due notizie di cronaca ci segnalano in ambiti diversi i problemi. A Biella la notte di capodanno due poliziotti, Gaetano e Gabriele, durante il loro servizio hanno ricevuto la chiamata della signora Ileana, 94 anni, che, non avendo parenti, in solitudine e voleva parlare con qualcuno almeno l’ultimo dell’anno. I due agenti, sono andati a trovarla e si sono prodigati nel tenerle compagnia. Una piccola storia che non è certo la prima, ma che diventa esemplare nel descrivere la solitudine. Altra vicenda questa drammatica e non a lieto fine, è l’aggressione subita in pronto soccorso da una giovane infermiera. Un pugno in faccia sferrato da parente di un paziente. La conferma di una escalation di aggressioni e insulti che il personale sanitario subisce ormai ogni giorno. Le cause sono diverse e non giustificabili, ma c’è di mezzo il sovraffollamento dei pronto soccorso, l’intasamento dei ricoveri, la carenza ormai cronica di medici e di infermieri. Sotto le festività poi gli ospedali diventano per lo più centri geriatrici per la grande presenza di anziani che spesso vengono “parcheggiati” nelle corsie perché non hanno parenti pronti ad un accudimento.
Solitudini nel labirinto
Sono problemi destinati a crescere e dobbiamo con realismo e concretezza affrontarli. Partiamo da un dato, i servizi sono carenti, non solo quelli sanitari ma in generale accade che per lo Stato si possono accedere ad alcune agevolazioni a 65 anni, per l’Inps la pensione di vecchiaia arriva a 67 anni compiuti; per alcune categorie dopo i 70; c’è da aggiungere che per i dipendenti privati c’è il Tfr, per quelli del pubblico impiego c’è il Trattamento fine servizio, i cui tempi di erogazione possono arrivare a 24 mesi fini a 7 anni dopo. E, ancora, con la digitalizzazione di ogni servizio, si espongono le persone anziane ad un percorso a rischio di password, di pin, di accettazioni di file, di condivisioni di link, che diventa un rischioso labirinto e per molti una trappola. Per le aziende pubbliche e private è un modo per scaricare sugli utenti i servizi ma per un anziano che non è nato con il telefonino in tasca, diventa un meccanismo infernale. C’è quindi una urgente necessità di ripensare tutto in una chiave di sostegno e di accesso a servizi migliori che siano sanitari o di vita quotidiana, chiari, efficienti, e soprattutto a misura delle persone.
Rafforzare le relazioni
Un aiuto ci arriva dalle indicazioni da monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana. La sua osservazione è lampante, per monsignor Paglia la vecchiaia è una risorsa, il sostegno dei nonni ai figli, a loro volta genitori, vale in termini economici l’equivalente di una legge finanziaria. La metafora usata per costruire nuovi rapporti e servizi è molto bella e convincente. “Dobbiamo ricreare le relazioni: la società è come un edificio di quattro piani, bambini, giovani, adulti e anziani sono interdipendenti, bisogna creare scale e ascensori che mettano in relazione queste fasce di popolazione e osservare che la società esiste per difendere i bambini e gli anziani, che entrambi hanno bisogno di aiuto”.
Una vita intensa e lunga
Questo il punto, le società civili non si basano solo su progetti economici, di sviluppo e di Pil, ma su come ci si prenda cura di chi è fragile. Oggi abbiamo persone in piena attività a 70, mentre a 80 anni si ha ancora una vita intensa di relazioni sociali, mentre il traguardo dei 90 anni è sempre più superato. Il benessere ha allungato di circa trent’anni la vita. Un dato enorme mai accaduto prima ma che ci impone anche una svolta. Seguendo le indicazioni di monsignore Vincenzo Paglia è evidente che il modello di servizi pubblici, e privati sono i ritardo. Un solo dato: oggi “assistenza domiciliare” significa 17 ore di assistenza infermieristica annue.
Integrare fantasia e impegno
Istituzioni, Governo e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni che su questi temi è stata determinata nel costruire una svolta, devono dialogare e coordinarsi per un progetto che sappia trasformare la terza età, non più come solitudine e fragilità. Un esempio di buone pratiche c’è già l’Italia, con 14 milioni di anziani, ha il primato di aver adottato un’apposita legge delega (n.33/2023, relatore senatore Francesco Zaffini, presidente della Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza) per una riforma strutturale a favore della “terza età”. Come accadde negli anni ‘50-‘60 di fronte al boom demografico venne realizzato il Piano per l’infanzia, con vaccinazioni di massa, asili nido e una nuova cultura pedagogica, oggi possiamo realizzare un Piano per la terza età. Norme e leggi ci sono, bisogna finanziarle e rendere concreta una nuova dimensione dell’essere anziani. Bisogna integrare fantasia, volontà politica e, soprattutto serve, l’impegno di tutti per avere promuovere una vita attiva e dignitosa. Una cultura di riforme per abbattere pregiudizi e stereotipi. Una rivoluzione normativa e culturale che non associ la vecchiaia solo ad una stagione di declino.