Prendere esempio dai grandi progetti degli anni del boom economico, a partire dal Piano casa di Fanfani.
Siamo al giro di boa di un anno che ci lascia e di uno che arriva. Per questo gli auguri a tutti i cittadini e ai nostri lettori sono buon auspicio per l’anno venturo. In questa occasione di festa e di attesa desideriamo promuovere qualche riflessione su ciò che arriverà e su cosa ci lasciamo alle nostre spalle.
Sappiamo che in questi giorni grazie all’opera del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del ministro per le politiche europee Raffaele Fitto, il Governo brinda all’arrivo della quarta rata del Piano nazionale di ripresa che vale 16.5 miliardi. Sappiamo che l’Esecutivo ha già inoltrato la domanda per la quinta rata che vale 10 miliardi e 500 milioni. In tutto come ricorda in queste ore il premier Giorgia Meloni il totale delle risorse ottenute dall’Italia ammontano a 102 miliardi su 194 miliardi e 400 milioni complessivi. In più come evidenzia il ministro Raffaele Fitto, l’Italia è prima tra i 27 Paesi dell’Unione a ricevere il via libera al quarto pagamento. Nel 2023 il Governo calcola che i fondi – siamo a più della metà di ciò che è stato pattuito con Bruxelles – dovranno servire a rilanciare l’economia attraverso l’attuazione delle riforme in materia di giustizia e pubblica amministrazione, inclusione sociale, investimenti in appalti pubblici, la digitalizzazione. Cospicue risorse sono destinate all’ambiente, alle infrastrutture, allo sviluppo dell’industria spaziale, l’idrogeno verde, i trasporti, la ricerca, l’istruzione e le politiche sociali.
I fondi e il rischio debiti
Tanta roba che dovrebbe spingere tutti noi ad un esame dettagliato di ciò che viene proposto, deliberato e attuato. I cittadini e le piccole imprese che sono poi il motore dell’economia e dell’occupazione in Italia si aspettano benefici reali perché, non dimentichiamolo buona parte dei fondi assegnati sono a debito, che qualcuno, ossia sempre cittadini, quindi lavoratori, professionisti e imprenditori, dovranno ripagare.
Non disperdere i miliardi
Pensare che una parte dei fondi possa essere gestita dai Comuni è di certo un coinvolgimento istituzionale positivo, ma si rischia che più che creare migliori condizioni per lo sviluppo, quindi in primo luogo per l’occupazione, si punti a realizzare opere di “abbellimento” di piazze e zone centrali di paesi e città. Ovviamente nessun preconcetto verso opere di arredo urbano e fruibilità delle piazze, tuttavia, per noi le piazze così come città e paesi sono belli quando le persone lavorano, quando i giovani si sentano realizzati nelle loro ambizioni, quando ci sono bimbi e famiglie, servizi per le persone anziane, etc. In una sola parola tutto questo può essere garantito dalla crescita economica e dalle azioni che mettiamo in atto per essa.
Il Pnrr e il Piano Casa
Il Piano nazionale di ripresa deve essere il volano di un nuovo sviluppo ma bisogna fare attenzione, a non scambiare il “fare per il fare”, con il realizzare per dare una vera svolta all’economia. Facciamo un esempio, che era nella lungimiranza di un protagonista della prima Repubblica, Amintore Fanfani, nel 1948 ministro DC del Lavoro e della Previdenza sociale. Fanfani diede vita appena dopo l’insediamento del Governo del presidente Alcide De Gasperi, al Piano Casa che fu una soluzione eccezionale nell’affrontare il problema della disoccupazione, attraverso lo sviluppo del settore edilizio, ritenuto capace di promuovere la rinascita economica dell’Italia del dopoguerra. È così avvenne ricordiamo brevemente il sistema utilizzato per dar vita a questa eccezionale svolta. Il Piano venne finanziato attraverso un sistema misto con la partecipazione dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti. Questi ultimi, attraverso una trattenuta sul salario mensile – “l’equivalente di una sigaretta al giorno”, come recitava la propaganda dell’epoca –.
A pieno ritmo, il Piano Casa definito come “grandiosa macchina”, produceva settimanalmente 2.800 vani, riuscendo a dare una casa a circa 560 famiglie a settimana. Fino al 1962, i 20 mila cantieri diffusi in tutta Italia, nelle grandi città come nei piccoli centri, offrivano un posto di lavoro ogni anno a 40 mila lavoratori edili. Grazie poi ai due milioni di vani realizzati nei quattordici anni di attività, 350 mila famiglie italiane migliorarono le proprie condizioni abitative. Per molti si passò dalle baracche alle case, dai tuguri agli appartamenti.
Spendere bene i soldi
Oggi con i fondi del Pnrr possiamo fare quindi molto, per creare migliori condizioni di vita, il Piano casa ne è una testimonianza. E, ancora, per citare le grandi opere che hanno cambiato il Paese, il sistema delle autostrade. Dal 1961 al 1968 venne realizzata l’80 per cento della attuale rete di cui beneficiano ancora oggi. Se abbiamo risorse, quindi, spendiamole bene. Questa deve essere la missione del Governo, del Parlamento e delle forze politiche.
Meloni una Statista per l’Italia
Le storie sono passate come i molti anni che ci siamo lasciati alle spalle. Eppure per il 2024 possiamo confidare su un fatto, c’è un presidente del Consiglio come Giorgia Meloni, la consideriamo una leader forte e capace. Può essere lei ad assumere un ruolo da statista, avere quel protagonismo illuminato come spesso è accaduto in Italia, con personalità nate dalle istituzionali e della società civile. Giorgia Meloni può far ripartire il Paese promuovendo progetti veri che diano spinta e voce ad uno sforzo corale dell’Italia. Il Presidente del Consiglio nella sua prossima conferenza stampa sul futuro dell’Italia ne tenga conto. Sia una statista capace di guardare lontano. Dal Piano casa non nacquero solo edifici, ma spazi comuni, giardini, asili, scuole, chiese, unità di vicinato. Nacque una Italia prodigiosa, forte, competitiva e solidale.